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ANNI ’60 – SCENARIO

Dal 1959 al 1963 corrono gli anni del “boom economico”: accelerata industrializzazione concentrata al Nord ma con importanti sviluppi al Sud, espansione dei consumi di massa, grandi ondate migratorie dal Sud al Nord, dalla campagna alla città. La televisione comincia a entrare in tutte le case, si fondono mentalità e linguaggi, si trasforma la cultura della gente. Il quadro politico centrista non regge più. Il paese è cambiato, c’è bisogno di allargare il quadro politico soprattutto per rispondere alla domanda emergente da un mondo del lavoro in forte ebollizione rivendicativa. Nel 1960 un’ondata di agitazioni scuote il paese (ricordiamo gli scontri in piazza a Genova e a Roma, i morti di Reggio Emilia) e pone fine all’avventura autoritaria del governo Tambroni (alleanza Dc-Msi). Il quadro politico si apre verso sinistra, i socialisti entrano nell’area del governo, dopo che si erano resi autonomi dal Partito comunista. Si apre l’era del centro sinistra che, malgrado i suoi limiti, segna un importante progresso politico, culturale e sociale. Si profilano con i primi tentativi di programmazione le linee di una politica economica, verso la quale la Cisl mostra interesse, perché è convinta che il sindacato non può limitarsi alla distribuzione del reddito, ma deve intervenire anche nei processi di accumulazione, risparmio, investimento, evoluzione dei consumi.

I primi anni Sessanta sono caratterizzati anche da profondi mutamenti culturali che toccano da vicino la sensibilità della Cisl, a cominciare dalla Chiesa. Sono infatti gli anni del pontificato di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II, che innesca un forte movimento di riforma e di apertura. Nel mondo cattolico si liberano grandi energie di libertà, di progresso e di impegno sociale. Ne beneficiano grandemente la Cisl e la Fim, dove già tanti militanti e dirigenti avevano precorso le aperture conciliari. Sul piano internazionale, ci sono prima il “disgelo” e poi la “distensione” tra Est e Ovest (è l’era di Kennedy e Kruscev), mentre i paesi del “terzo mondo” si vanno liberando dai vincoli coloniali. Ma è una stagione di breve durata. Il 3 giugno 1963 muore Giovanni XXIII, cui succede Giovan Battista Montini con il nome di Paolo VI; il 22 novembre viene assassinato a Dallas il presidente americano Kennedy. L’anno dopo in Urss viene destituito Kruscev, sostituito da Leonid Breznev. Nello stesso anno sbarcano in Vietnam i primi marines americani e comincia la “escalation” militare ordinata dal presidente Johnson; nell’agosto 1968 si riaffacciano sulla scena i carri armati sovietici a Praga, per soffocare il tentativo di costruzione in Cecoslovacchia di un regime socialista e democratico. Questa volta il Pci esprime una aperta, anche se travagliata condanna.

Dal 1966 imperversa in Cina la “rivoluzione culturale” lanciata dal presidente Mao che eserciterà un profondo influsso su molti intellettuali di sinistra e su molti giovani del “68”. Verso la fine del decennio l’Occidente è attraversato da profondi sommovimenti sociali e culturali che hanno il loro epicentro nella rivolta degli studenti, esplosa in tutta Europa e anche in Italia nella primavera del 1968. È una rivolta libertaria, antiautoritaria, che denuncia le ingiustizie del capitalismo, le storture di uno sviluppo squilibrato e di un consumismo privo di valori, ma anche la sclerosi burocratica del comunismo di obbedienza sovietica. Balza in primo piano la solidarietà verso i movimenti di liberazione del “terzo mondo”. Un profondo influsso esercita in quegli anni in Italia, specie in alcuni ambienti della Cisl, l’esperienza della Scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani, che propugna con accenti aspri un modello di educazione volto all’autonoma crescita culturale e civile degli strati più umili della società. Parallelamente in Italia tra i lavoratori, specie i più giovani e gli immigrati dal Sud, si crea un potente movimento di rivendicazione, che troverà momenti di convergenza con quello degli studenti, ma è sostenuto da ragioni politiche e sociali proprie. La spinta riformatrice del centro sinistra si è appannata, non mantiene le sue promesse. Dopo gli anni del “boom” economico, il mondo produttivo è attraversato da profondi segni di crisi (la “congiuntura”), peggiorano le condizioni di lavoro mentre crescono le esigenze di partecipazione e di miglioramento economico. Contemporaneamente si avvertono i pericoli di svolte autoritarie (tentativi di “golpe”). Comincia la “strategia della tensione”: il 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana a Milano un criminale attentato provoca 16 morti e 90 feriti. Sarà soprattutto il mondo del lavoro, con i sindacati alla testa, a difendere la democrazia con una mobilitazione incessante, e a promuovere più democrazia entrando come protagonista nella scena politica e sociale.

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