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Torniamo a Eisenhower. Perché ci servono politiche per l’industria

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Mi piace riproporre qui nel blog il mio commento ad un articolo di Giovanni Dosi prestigioso economista, attuale direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. L’articolo, pubblicato sul sito on-line Sbilanciamoci.info, si basa sulla relazione a un recente seminario della Fiom-Cgil e può essere scaricato cliccando il seguente link:

Perché ci servono politiche per l’industria

……… qui di seguito riporto quanto ho scritto io. In cui evidenzio i tratti della sua analisi da me condivisi, ma anche gli aspetti controversi e le tesi confutabili.

Torniamo a Eisenhower. Perché ci servono politiche per l’industria
15 Marzo 2015

Il titolo originario del suo articolo aveva un suo fascino. Specie per uno come me, che si e’ divertito in Italia – piuttosto che negli Stati Uniti – a citare il generale Dwight Eisenhower come monito ai fautori del “keynesismo militare” di sinistra o del “liberismo spurio” di destra. Va ricordato, infatti, che Eisenhower durante la sua presidenza, oltre imporre “la tassazione marginale sui redditi dei più ricchi al 92% e quella sui profitti al 60%” ha ridotto le spese militari dal 1954 al 1956 di quasi il 32 per cento, da 526 a 359 miliardi di dollari a valore costante. E questa misura costituisce, forse più di qualunque altra, la ragione della crescita economica maggiore di tutta la storia degli Stati Uniti.

Una dimostrazione empirica che una “politica che guidi il cambiamento dell’industria e delle tecnologie” non si fa agendo solo sulle entrate, ma qualificando gli investimenti pubblici (come il suo articolo sostiene) e tagliando le spese militari (come aggiungo io). E sono 20 anni esatti che, invece, in nome degli interessi di Finmeccanica (o meglio, dei suoi manager) questa scelta in Italia non si e’ fatta. Al contrario – con la responsabilità bipartisan dei Governi e della sinistra tutta (non solo quella “moderata e riformista”) si sono prese decisioni di politica industriale che, progressivamente, hanno rovesciato il mix delle attività di Finmeccanica a favore del militare. Vorrei ricordare che Finmeccanica nel 1995, dopo aver incorporato nella seconda meta’ degli anni ’80 le aziende aeronautiche e militari dell’ex-Efim e le aziende elettroniche dell’ex-Stet, per il 75% operava nel civile, in aree di eccellenza e leadership globale come l’automazione industriale e di fabbrica (Elsag-Bailey) e nella microelettronica (Stm), oltre che in aree consolidate come l’energia e i trasporti.

La logica di far cassa inizia con lo smantellamento di Elsag-Bailey nel 1997 e arriva ai nostri giorni con la cessione di energia (Ansaldo) e trasporti (AnsaldoBreda e Sts). E nel frattempo si sono cedute tutte le quote che si avevano come Finmeccanica in ST Microelectronics, l’azienda italiana che più investe in ricerca e sviluppo in proporzione al suo fatturato. E quanto successo a Telecom con l’avvento dei privati e’ avvenuto in Finmeccanica con i decisori politici. Il risultato dal punto di vista della ricerca e sviluppo, in campi che non fossero militari, e’ stato lo stesso. Basti pensare al posizionamento strategico a livello internazionale dei laboratori di ricerca dello Cselt di Torino (Telecom) e dell’Elsag di Genova nel campo dell’intelligenza artificiale.

Riguardo al libro di Mariana Mazzucato, Lo stato innovatore (Laterza, 2014), concordo sul ruolo centrale dello Stato sul piano economico e sulla generazione dell’innovazione tecnologica. Ma con un’avvertenza. Evitiamo le mezze verità. Se e’ vero che alcune nuove tecnologie che utilizziamo oggi come internet (ma non i social network) e il processore (ma non il micro o l’iPad) hanno un’origine militare, e’ altrettanto vero che se non ci fossero stati dei ragazzi a sviluppare un personal in un garage o non ci fosse stato lo sviluppo della microelettronica (reso possibile solo dai grandi volumi dei prodotti di consumo), ancora oggi un computer con la stessa potenza di calcolo di quello che sto adoperando per scrivere questo commento, occuperebbe un’intera stanza del Pentagono. E anche sul successo della Silicon Valley poco si riflette sull’effetto virtuoso della riduzione delle spese militari (con il relativo trasferimento nel civile di risorse e professionalità) durante l’amministrazione Carter e gli ultimi anni di Nixon.

Convengo, quindi, pienamente con lei sulla critica, da un punto di vista industriale e tecnologico all’acquisto dei caccia americani F-35. Si e’ in perfetta continuità con una politica industriale nel nostro paese che, da 20 anni, sostiene solo gli investimenti in campo militare. E non solo F35, ma anche navi da guerra (fregate Fremm), carri blindati (Freccia) ecc. per limitarsi solo a piattaforme e sistemi d’arma con una proiezione offensiva.

Per questo vorrei farle, in conclusione, un unico appunto, pur capendo la “concessione” fatta alla Fiom sulla Fiat, nel contesto nel quale si svolgeva il suo intervento. Gli errori di prospettiva sono un rischio, a maggior ragione per il Direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Non si faccia ingannare dall’opportunismo di Matteo Renzi che se oggi e’ “gasatissimo” per la sua visita alla Fiat, solo due-tre anni fa insieme a Maurizio Landini recitava il necrologio di questa azienda. Si sforzi per capire il mondo di guardare la realtà dalle periferie, come ci invita a fare papa Francesco. E scoprirebbe, dalla “nuova fabbrica a elevata automazione in Brasile” e non solo, che FCA e’ un player globale di successo – a casa madre italiana (Exor) – nel settore automotive. Eppure erano molti coloro che sostenevano (più in Italia, che negli Stati Uniti) che convertire due debolezze, Fiat e Chrysler, in ”una nuova forza” era un obiettivo impossibile.

E rispetto all’anemia degli investimenti industriali in Italia dalla crisi economica-finanziaria del 2008 e a dispetto di tutti i luoghi comuni, FCA e’ uno dei pochi grandi gruppi in controtendenza. Le “poche assunzioni” a Melfi “arrivano dopo un ridimensionamento drammatico di produzione” nel mercato europeo dell’auto, ma non dell’occupazione nel perimetro FCA in Italia e nel mondo (http://www.fim-cisl.it/2015/01/29/fca-alla-ricerca-della-verita-perduta/).

Gianni Alioti