BENTIVOGLI : “I sindacati oggi? Decisivi, ma ripensati.”
“I sindacati oggi? Decisivi, ma ripensati”
Parla Marco Bentivogli (Fim-Cisl), autore del libro sul sindacalismo “Abbiamo rovinato l’Italia?”
intervista di Nicola Pini – Avvenire 21 luglio 2016
Abbiamo rovinato l’Italia?: il titolo del libro scritto da Marco Bentivogli, segretario della Fim (metalmeccanici della Cisl), è volutamente provocatorio. Ma la domanda – chiediamo all’autore – contiene anche qualcosa di vero? Il sindacato ha colpe da farsi perdonare o no? “Nel libro cerco di rispondere a due atteggiamenti sbagliati: quello dei discorsi al bar, secondo i quali i sindacalisti sono solo una casta di privilegiati, un retaggio superato e un ostacolo alla crescita, luoghi comuni spesso usati da persone che usufruiscono delle vittorie conseguite dal sindacato. Ma critico anche la tendenza dei sindacalisti ad assolversi o autoincensarsi. Spesso il sindacato non ha saputo risolvere importanti contraddizioni e oggi non basta una manutenzione ordinaria, serve una radicale rigenerazione”
Quali contraddizioni?
“Ne cito una: avere messo sullo stesso piano i diritti e l’abuso dei diritti. Non si possono scambiare malati e finti malati, lavoratori e fannulloni, poveri e falsi poveri. L’abuso finisce per mangiare i diritti stessi, che diventano meno difendibili”
C’è ancora bisogno del sindacato?
“Sì, perché è una straordinaria palestra di democrazia, educa all’importanza della mediazione, allontana i lavoratori da fondamentalismi e populismi e spinge a pensare al plurale e non al singolare. Nelle aziende il rapporto 1 a 1 non è paritario, il sindacato rende i lavoratori più forti e liberi. Anche se non c’è dubbio che oggi serva un cambio di organizzazione e strategia”
Lei rilancia i valori della partecipazione e della rappresentanza. Ma è sicuro che i lavoratori vogliano ancora essere rappresentati?
“Certo, si è radicata l’idea di fare da soli, che ognuno si arrangia come può. Ma è una terribile illusione. Con la crisi ci siamo risvegliati con più povertà e più diseguaglianze”
Forse pesa anche una certa disillusione: come può un sindacato incidere sui grandi processi globali?
“Non bisogna rassegnarsi. In questi anni difficili, abbiamo fatto tanto. Nel solo settore metalmeccanico senza la contrattazione difensiva avremmo perso centomila posti in più”
Cosa propone per cambiare?
Per esempio fare pressione con il portafoglio. Dobbiamo premiare nelle scelte di mercato le aziende migliori sul piano della sostenibilità, quelle che rispettano i diritti dei lavoratori, l’ambiente, i consumatori. Questo può aumentare il potere contrattuale del sindacato, a patto però di riuscire ad avere una dimensione internazionale. A livello nazionale invece dobbiamo puntare sulle politiche attive del lavoro e guardare non solo alla protezione, ma anche alla promozione del lavoratore, con il diritto soggettivo alla formazione oltre alla tutela del salario”
La Fim è un sindacato dell’industria. E con la prossima rivoluzione tecnologica?
“L’industria 4.0 per noi non è un’opzione, ma una necessità. E’ l’unica strada per salvare il manifatturiero nel nostro Paese. Se facciamo crescere la produttività potranno rientrare in Italia imprese e settori che avevano delocalizzato. Ma bisogna cambiare approccio. Il sindacato deve giocare d’anticipo e battersi per una evoluzione attenta al ruolo della persona e alle ricadute sociali”