Bentivogli «Il reshoring si fa solo con le nuove tecnologie»
Il reshoring si fa solo con le nuove tecnologie
«In Italia si è persa occupazione perché si è delocalizzato invece di investire in nuovi impianti. La risposta ora è detassare il lavoro». Bentivogli: «L’Industria 4.0 è l’ultima occasione per rimettere al centro il manifatturiero. Una tassa anti-robot massacrerebbe il progresso nelle Pmi»
di Cinzia Zuccon – Giornale di Vicenza
VENERDI’ 07 APRILE 2017
VICENZA – Tecnologie digitali, industria, persone, lavoro. Il tema caldo dell’industria 4.0 è stato al centro del seminario nell’ambito del 10° congresso Fim-Cisl del Veneto che si conclude oggi a Vicenza. Ed è intervenuto anche Marco Bentivogli, segretario nazionale Fim che per il futuro intravede più opportunità che rischi.
Bentivogli, le imprese hanno mostrato interesse per gli incentivi del piano Industria 4.0. Porteranno la trasformazione attesa?
Abbiamo chiesto al ministro Calenda che si faccia garante dell’utilizzo degli incentivi distinguendo tra chi veramente investirà in ottica 4.0 e chi è semplicemente a caccia di sgravi ma è ancora fermo alla 2a rivoluzione industriale. Questa è una vera e propria rivoluzione che riguarda un ecosistema 4.0 dentro e fuori l’azienda. Ed è la nostra ultima occasione per riportare la manifattura al centro.
Industria 4.0 è anche robotica. Sui robot è in atto una guerra di cifre. Studi dicono che nel 2020 avranno cancellato 5 milioni di posti di lavoro, altri che ne genereranno 14 milioni. E lei su questo va controcorrente.
Mi tengo lontano a iper-catastrofisti e iper-ottimisti. E ricordo che in Italia abbiamo perso lavoro perché si è delocalizzato e non si è voluto investire in tecnologia. Tutti gli accordi di reshoring che abbiamo fatto sono stati possibili invece grazie all’implementazione di tecnologie. E ora che a Pomigliano si stanno introducendo esoscheletri per evitare ai dipendenti di sollevare carichi pesanti dovremmo dire di no? È pensando positivamente al futuro che si aumentano le opportunità.
Bill Gates ha proposto di tassare i robot e non è il solo. Un’ipotesi che lei ha cassato così fortemente da far pensare che, tra i due, il sindacalista sia Gates…
Gates dimentica che i suoi software hanno tagliato milioni di posti di impiegati: avremmo dovuto tassarli allora e, andando a ritroso, anche l’aratro trainato da animali. Ma non si può pensare di tassare il progresso. Le multinazionali tecnologiche piuttosto paghino le tasse laddove producono valore. Per il resto il World Economic Forum ha già evidenziato che nel 2015 il costo orario robot e lavoratore si era già parificato. La risposta non è tassare i robot ma detassare il lavoro.
In effetti abbiamo il cuneo fiscale il 10% oltre la media Ue.
Per questo si devono diminuire le tasse sul lavoro. La tassa sui robot massacrerebbe il progresso, specie nelle Pmi che si avvantaggerebbero della tecnologia perché il costo del lavoro per unità di prodotto è tanto più alto più piccola è l’impresa. L’ipotesi della Silicon Valley secondo cui in futuro lavoreranno solo un 10% di superprofessionisti e il restante 90% vivrebbe di reddito di cittadinanza è inaccettabile oltre che insostenibile.
Un problema però esiste: la formazione. Ci saranno lavori nuovi, e altri dovranno aggiornarsi in chiave digital. Già oggi sono scoperte il 22% di posizioni nel digitale, e presto saranno 900 mila.
Il più grande gap è quello delle competenze. È il motivo per cui abbiamo introdotto nel contratto dei metalmeccanici, a novembre, il diritto soggettivo alla formazione.
L’ideale sarebbe lavorare tutti meno grazie alla tecnologia, no?
Sì, dovremmo centrare l’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro e non collegarlo più a una quantità di ore ma ad un progetto di lavoro che ci permetta di conciliare tempi di vita e lavorativi.
Il trasferimento tecnologico è un altro tema caldo. Ha fiducia nel lavoro che le imprese possono fare con gli innovation hub e i competence center?
A questi centri siamo arrivati dopo uno scontro tra le università italiane. Noi della Cisl abbiamo scritto un libro verde per riempire di contenuti, e non fermarsi a chi si dividerà i fondi.
Un’ultima battuta fuori tema. Che diciamo a quegli studenti che hanno perso anche il lavoretto del fine settimana senza voucher?
Che si impadroniscano del sindacato. Non si può lasciare il dibattito sul lavoro in mano a chi non ha smaltito i fondi di bottiglia dell’estremismo ideologico, la storia riformista della Cgil è segnata da una deriva gruppettara e antistorica nociva alle nuove generazioni. E pensare che con la tracciabilità dei voucher introdotta dal Jobs Act era già crollato il ricorso ai voucher. Ridicolo poi che Bersani punti il dito contro i voucher, è stato proprio lui con Monti nel 2012 a liberalizzarli.