Povertà, Bentivogli: più istruzione e ricostruire i legami sociali – Avvenire 14 luglio, 2017
Bentivogli: più istruzione
e ricostruire i legami sociali
Intervista a Marco Bentivogli – Avvenire 14 luglio 2017
La povertà italiana è diffusa tra i giovani, le famiglie con bambini, gli operai. Siamo un Paese dove fare figli è pericoloso, cercare un lavoro una scommessa e anche trovarlo non è garanzia di benessere. Ne abbiamo parlato con Marco Bentivogli, segretario della Fim (la federazione dei metalmeccanici Cisl), un dirigente di nuova generazione che non ha mancato di evidenziare i limiti del sindacato. “Il dato Istat di oggi è preoccupante- afferma- un dramma che ci interpella e ci deve ricordare di quante, troppe persone sono rimaste indietro. Ma vorrei fare una premessa…”.
Prego Bentivogli.
Credo che sia necessario depurare questi dati, perché non c’è peggior cosa di mettere insieme i poveri veri con i falsi poveri. In Italia purtroppo c’è il lavoro nero e una gigantesca evasione fiscale, frutto di errori, di sottovalutazione, di un arretramento nei controlli. 30 milioni di italiani pagano al fisco al massimo 178 euro. I falsi poveri sono un problema gravissimo, evasori che accedono gratuitamente ai servizi.
Ok, ma l’evasione non è una novità, mentre la ripresa e l’aumento dei posti di lavoro non riducono la povertà. Come si spiega? E come reagire?
Siamo usciti dalla crisi ma molte persone sono state trattate come scarti umani dalla ripresa, che è molto selettiva. E’ interessante però il fatto che la diffusione della povertà sia inversamente proporzionale al titolo di studio. Questo deve spingerci a prendere molto sul serio l’obbligo scolastico e la formazione. Siamo alla vigilia della quarta rivoluzione industriale, abbiamo un gap di competenze gigantesco, l’istruzione e il sapere sono le chiavi più forti contro la povertà.
Tra gli operai uno su otto è povero assoluto…
Sì, e questo dato per noi è una sconfitta perché se è sotto la soglia di povertà anche chi ha il lavoro significa che un pezzo del nostro mondo è dentro le periferie esistenziali di cui parla papa Francesco. E significa anche che non è sufficiente fare campagne generiche sull’innalzamento dei salari, bisogna aggredire le cause dei bassi salari e della mancanza di lavoro. Puntare sulla produttività e scommettere sulle persone attraverso la formazione è uno dei modi per riportare le persone fuori dalle periferie. Ma la povertà è frutto di una mancanza di capitali non solo economici ma anche sociali, i capitali di relazione e il fai-da-te isola le persone. Ci sono due sintomi di questo aspetto: prima la diffusione dei “compro oro”, poi delle slot machine. Dove avanza la povertà crescono azzardo e disperazione. C’è una frattura dei legami, che vanno ricostruiti.
Più povertà tra i minori e i giovani. Che può fare il sindacato?
In Italia sulla famiglia facciamo scontri di civiltà ma in termini di strumenti di sostegno facciamo assai poco. Anche per chi ha un impiego la conciliazione dei tempi vita-lavoro rende la maternità un percorso quasi impossibile e questo è inaccettabile.
Quanto ai giovani, un paese in cui la povertà assoluta è doppia tra gli under 34 anni rispetto agli over 65 è un Paese che uccide la speranza. I giovani hanno salari più bassi e pensioni più povere e più che il tempo delle opportunità vivono la loro condizione quasi come una iattura. Questo significa che abbiamo sbagliato e bisogna correre ai ripari. Il sindacato ha difficoltà a coinvolgerli e dobbiamo avere il coraggio di ridefinire le nostre priorità strategiche.
I dati Istat oggettivamente non portano acqua al mulino del reddito di sussistenza e del salario minimo?
L’Italia ha un tasso di occupazione tra i più bassi e il reddito di cittadinanza, oltre che insostenibile, non sarebbe risolutivo dei problemi del Paese. Non possiamo adagiarci sull’idea di diventare la Repubblica dei sussidi. Il lavoro è un elemento centrale della dignità umana, uno strumento sostitutivo sarebbe anche eticamente rovinoso. Importante invece è il varo del reddito di inclusione. Ora bisogna vedere come farlo funzionare al meglio perché sia davvero un percorso di reinserimento.
E il minimo salariale? Siete contrari?
L’85% dei lavoratori è coperto dalla contrattazione collettiva. Sugli altri si può ragionare anche sul minimo legale.