Un Forum civico per il post sovranismo – L’Espresso 16 dicembre 2018
Un Forum civico per il post sovranismo
L’Espresso 16 dicembre 2018
di Marco Bentivogli, Leonardo Becchetti, Mauro Magatti Alessandro Rosina
Il nostro paese e l’insieme di paesi ad alto reddito stanno vivendo una fase particolarmente difficile della loro storia. Gli effetti sono esplosivi negli Stati come il nostro, dove la quota di analfabetismo funzionale e una cattiva qualità dell’informazione media fanno da detonatore a un’esplosione di aspettative anarchico-individualiste stimolate dallo sgretolamento dei fondamenti etici del nostro sistema economico. Il recente rapporto del Censis arriva a parlare di “sovranismo psichico“, in un paese rancoroso, invecchiato, triste e ripiegato su se stesso.
L’ingrediente di base su cui si innesta questa miscela esplosiva sono la percezione di insicurezza, di un assedio in realtà spesso inesistente, in cui gli impresari della paura mettono sempre più in competizione mondi che non lo sono, agitando icone terrorizzanti, come i migranti, l’Europa e l’euro, e oggi i robot. E’ evidente che la debolezza dell’Unione Europea, anche per il basso livello dei gruppi dirigenti nazionali, che non riesce a fare passi in avanti nell’integrazione e non sviluppa strumenti possibili ed adeguati per affrontare lo shock di questa transizione. E’ sorprendente da questo punto di vista come tre fonti diverse (il rapporto sul lavoro in Italia della Fondazione Hume, l’ultimo rapporto Oxfam e le conclusioni di due economisti tra i massimi esperti di automazione e lavoro come Brijnolfson e Hitt) convengono sulla frattura un terzo-due terzi presente da noi e in quasi tutti i paesi ad alto reddito, dove il terzo degli altamente qualificati, cosmopoliti ed integrati vede crescere la propria quota di salari, si sente cosmopolita ed integrato e saluta con soddisfazione la globalizzazione ; mentre due terzi vedono arretrare la loro quota di salari se vivono la globalizzazione come una minaccia.
E’ su questa situazione esplosiva che i movimenti nazionalpopulisti hanno saputo lavorare coagulando consenso attorno alla minaccia del migrante e al conflitto con le istituzioni europee e generando un’esplosione di aspettative che loro stessi, apprendisti stregoni, non sono oggi in grado di soddisfare e che dunque prima o poi presenterà il conto. Un paese (o una parte di esso) che si unisce su queste basi non può creare le premesse per una società che favorisca generatività, soddisfazione senso della vita dei propri cittadini. La logica del nemico da combattere (all’interno di uno stesso paese ma anche tra paesi attraverso le guerre commerciali) non può produrre valore sociale ed economico ma solo più conflitto che in parte distrugge valore economico e sociale. Esattamente la dissipazione di risorse economiche e di legami sociali che stanno provocando il nazionalpopulismo in Italia.
Per questo motivo sentiamo il dovere e l’urgenza in questo particolare momento storico di contribuire a costruire una visione diversa costruita su fondamenti più solidi. E sull’evidenza ormai nota nelle scienze sociali che illustra da diverse fonti e punti di vista e sulla base di milioni di dati ed osservazioni che la soddisfazione e il senso della vita dipendono dalla capacità di contribuire al progresso di altri esseri umani e della società. Non è possibile però costruire nulla di nuovo, anche se su basi più solide, se ci chiudiamo nelle nostre paure, se balliamo soltanto come barbarie quello che ci circonda e non siamo capaci di ascoltare e di comprendere le istanze dei nostri concittadini e comunicare con loro. Il modello economico vigente ci ha portato enormi benefici, ha sollevato dalla povertà mai come nel passato centinaia di milioni di persone nel mondo ma ha elementi di forte equilibrio che devono aiutarci a capire questa protesta. Nelle regole del commercio, nelle istituzioni finanziarie e politiche esso è chiaramente sbilanciato perché orientato al massimo profitto e al benessere dei consumatori subordinando a questi obiettivi prioritari il tema fondamentale della qualità e dignità del lavoro e della tutela dell’ambiente.
A questo problema se ne associa uno di tipo culturale profondo. In una certa cultura delle élite cosmopolite è prevalsa l’idea che la modernità debba appiattire ed eliminare tutte le specificità e differenze nazionali e che le esigenze dell’integrazione debbano cancellare fedi, riti e tradizioni. Nel nostro paese, peraltro le élite vivono spesso all’interno di una “filter bubble” che li imprigiona in un’autoreferenzialità burocratica tutt’altro che cosmopolita, in cui ci si nutre di autolegittimazione dall’alto. Pensiero unico e conformismo hanno sterilizzato e marginalizzato le capacità generative di troppi corpi sociali. Le élite, lontane dalle periferie esistenziali dell’umanità, ostentano un negazionismo sui bisogni di sicurezza che misura chiaramente la loro distanze con le periferie e le aree rurali. Il mondo nuovo che dobbiamo è più felice e ricco di senso di quello triste, rancoroso e ripiegato su se stesso della logica conflittuale sovranista ma sarebbe un grave errore pensare che sia la semplice riproposizione di un globalismo senza proposte che cancella passato e tradizioni e ritiene che il progresso della civiltà si esaurisca esclusivamente con la tutela della concorrenza e la riduzione dei prezzi. In questi anni abbiamo lavorato affianco alle esperienze più promettenti della società civile che nel nostro paese hanno creato valore economico e buon lavoro rispettando l’ambiente: e abbiamo imparato molto da loro. Le buon pratiche, gli innovatori, i laboratori e i cantieri a cui abbiamo partecipatoci hanno fatto scoprire una società e un’economia possibile che va oltre visioni anguste. Realtà che dimostrano concretamente che è possibile fare dell’accoglienza e della cooperazione una fonte di superadditività nella logica dell’1+1=3 perché chi riesce nella difficile arte del fare squadra produce risultati sociali ed economici superiori a quelli ottenibili lavorando da soli o, peggio, in perenne conflitto con tutti.
Abbiamo trovato tante organizzazioni sociali e imprese responsabili che hanno l’ambizione di avere un impatto sociale oltre al profitto e che lavorano dal basso per rendere la nostra società più bella e vivibile. Abbiamo sperimentato l’utilità di indossare occhiali nuovi per misurare il valore di queste esperienze attraverso tutte le sue dimensioni (crescita economica ma anche salute, istruzione, qualità dei servizi, vita di relazioni) e a utilizzare queste griglie di indicatori per misurare il vero valore economico e sociale prodotto. E abbiamo capito che non si esce dalle difficoltà in cui viviamo da soli, facendo balenare promesse irrealizzabili o innamorandosi del leader di turno.
Come ricordava Bauman, non esistono leader soli capaci di portare sulle loro spalle la croce di una società complessa come la nostra. E quando appaiono per un attimo all’orizzonte sono destinati presto al declino. Nelle migliori pratiche di amministrazione locale di cui il nostro paese è ricco, abbiamo scoperto che la via più solita è quella di un sistema invisibile del mercato e visibile delle istituzioni benevolenti si accompagnano la terza della cittadinanza attiva e la quarta delle imprese responsabili. Contro la tentazione della società del conflitto, che non crea valore ma che lo distrugge, abbiamo in mente la visione ricca di una società generativa, che crei le condizioni per ciascuno, anche per i più deboli ed esclusi di rimettersi in pista per poter contribuire al bene comune. Siamo sicuri che, sforzandoci di spiegare bene al paese le nostre ragioni, possiamo convincere tutti a partecipare a questo grande progetto di società generativa i cui germogli sui territori sono già presenti e visibili a occhio attento. Siamo sicuri di poter essere un paese migliore se usciamo dall’incantesimo che ci paralizza perché ci fa credere che ci sia sempre un capro espiatorio per spiegare i nostri problemi. Possiamo farcela iniziando da una missione culturale e di comunicazione di questi nuovi contenuti e di questa nuova visione che ci deve vedere coinvolti. Troppi pensano solo alle elezioni, il deserto morale avanza e ci impone la necessità di pensare ad un orizzonte e un progetto umano più ampio e profondo.
Come ha ricordato il cardinale Gualtiero Bassetti, serve una grande rete per l’Italia e per un futuro solidale europeo.
E’ il momento di un Forum Civico, che metta insieme tutto l’impegno sociale e civile. Siamo tutti convocati.