Bentivogli:« L’immunità totale è una bufala, un alibi per Arcelor per scappare»
Ex Ilva, le accuse del sindacalista: «Nessuno vuole lavorare in un’azienda dove chi arriva rischia il carcere per le gestioni precedenti
Di Simona Musco
Niente da fare: dopo un mini passo indietro dell’ex ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, l’immunità penale prevista per i manager dell’ArcelorMittal, l’ex Ilva, sembra destinata ad essere depennata, con un emendamento del M5s che verrà votato martedì nelle commissioni Industria e Lavoro del Senato. Una mossa che ora potrebbe portare il gruppo a chiudere lo stabilimento di Taranto e, dunque, mettere a rischio il futuro di 10.700 lavoratori. Una vicenda che per il Segretario Generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, rappresenta un invito a non investire in Italia e dimostra l’incapacità del Governo nella gestione delle crisi. «Le vertenze industriali continuano a crescere – racconta al Dubbio – e nell’ultimo anno e mezzo non se ne è risolta una».
Quali sono le conseguenze di questo emendamento?
R: Si tratta di votare la soppressione dell’articolo 14 del decreto “Salva Imprese”, ovvero lo scudo penale non solo per i “manager” ma anche per quadri e settimi livelli con responsabilità. Lo scudo ha al momento una portata temporale limitata al piano industriale collegato all’Aia, ovvero alla messa a norma dello stabilimento. Come si fa a mettere a norma lo stabilimento se chi vi lavora può essere inquisito?
Perché è così importante questo scudo?
R: Nessuno vuole lavorare in un’azienda dove arriva e deve rischiare il carcere per le gestioni precedenti. E poi lo scudo non protegge solo per la realizzazione del piano ambientale. Anche in questo periodo per gli infortuni mortali sono stati, giustamente, indagati i dirigenti aziendali. Chi parla di immunità totale non sa quello che dice. ArcelorMittal ha già detto che farà le valigie, se dovesse avvenire chiederemo a tutti i benaltristi come andare avanti, compreso ai nostalgici dell’acciaio di Stato. Un’eredità di inquinamento, corruzione e ripiegamento industriale. La cosa singolare è il Pd che vota una norma che esso stesso ha introdotto.
Che effetti avrà tutto ciò sull’economia del Paese?
R: Un paese che cambia queste norme ogni sei mesi fa scappare chiunque. La vicenda Ilva è nota in tutto il mondo. E questi cambi continui di condizioni normative non solo non fanno attrarre investimenti, ma fanno scappare quelli localizzati nel nostro paese. Certo, ci sono anche le aziende che vogliono mano libera sulla materia ambientale, ma la maggior parte chiede semplicemente norme stabili. Un Governo che cambia continuamente posizione, con lo scopo di recuperare voti, non solo non ne recupera, ma fa scappare tutti. Il ministro Di Maio aveva garantito, prima della firma dell’accordo, questa richiesta di ArcelorMittal, anche perché era garantita ai commissari prima di loro. Ricordo che vi fu una domanda precisa al tavolo da parte di Alessandro Marescotti di PeaceLInk, in una riunione al Mise e Geert van Poelvoorde, ceo Europa, rispose che per loro era indispensabile, altrimenti i suoi manager non avrebbero accettato l’incarico, perché non volevano responsabilità dei precedenti proprietari. Il tutto davanti al ministro Di Maio.
Si discuterà della materia successivamente. Rischia di essere troppo tardi?
R: Questa vicenda rappresenta un grande cartello davanti al nostro paese in cui vi è scritto: “attenzione, se avete dei soldi da investire, state lontani dall’Italia, Paese dove i politici sono sempre in campagna elettorale e cambiano idea prima e dopo pranzo”. E chi dice che le posizioni come le mie non aiutano a portare a norma l’impianto spiego che l’elettoralismo sta ritardando tutti i piani mentre finalmente si stava iniziando a recuperare i ritardi dell’applicazione dell’Aia. La scelta di Lucia Morselli come Ad, lo dico senza pregiudizi, rischia di essere il prologo di un ripiegamento industriale, fermarsi a non più dei 5 milioni di tonnellate annue. E sapete cosa significa per l’occupazione. ArcelorMittal e non solo, sostiene che servono 1000 lavoratori ogni tonnellata. Significa, dopo aver già ristrutturato l’azienda con ammortizzatori sociali ed esodi volontari, dimezzare l’occupazione.
Che atteggiamento sta dimostrando questo Governo nei confronti delle imprese e dei lavoratori?
R: Le vertenze industriali continuano a crescere e negli ultimi 2 anni non se ne è risolta una. Va rafforzato il Mise, servono persone competenti e concrete. Quando sento un ministro che dice che non si vendono lavatrici perché non si producono ti cascano le braccia. Mi auguro che il ministro Patuanelli segni una vera discontinuità con Di Maio. La nuova maggioranza non può rappresentare lo stesso stile nelle vertenze industriali. L’approccio demagogico terrapiattista va bene sui social, ma un metalmeccanico a cui si promette la bacchetta magica, quando si accorge che era una penna a sfera (poco usata) si incazza. Servono persone che dicano la verità e anche quando è impopolare. Spero sia chiaro che il Mise non funziona come macchina di propaganda. Poi servono anche cittadini informati e consapevoli che imparino a smetterla di seguire il Mago Zurlì di turno.
Che cosa suggerirebbe all’esecutivo?
R: Sgombrare l’atteggiamento anti-industriale della gestione precedente. Cancellare l’approccio ideologico sulle questioni del lavoro. Questo paese ha bisogno di riforme profonde che detassino il lavoro e spingano gli investimenti. La cassa integrazione è cresciuta del 51% (a settembre), 75% su base annua e cresce soprattutto la straordinaria (+698%), quella che spesso è la vigilia dei licenziamenti. Frenano le esportazioni e frena il nord: +175% di cassa integrazione a nord ovest, + 698% a nord est. Cresce il lavoro a termine e aumentano i part-time obbligatori, servono tutele serie, non la demagogia del decreto dignità che ha aumentato la precarietà e la norma anti-delocalizzazione in esso contenuta non ha sortito ad oggi alcun effetto. Bisogna ripartire con il piano industry 4.0, rilanciare i competence center e i digital innovation hub, lavorare seriamente sui venture capital e costruire piani specifici per Pmi e microimprese e soprattutto per il sud del Paese.