Skip to content Skip to main navigation Skip to footer

Il lavoro si crea non si mantiene a colpi di decreti

Condividi questa pagina

Intervista al Segretario Generale Fim Cisl Roberto Benaglia

di Francesca Spasiano “Il Dubbio” – 1 settembre 2020

La parola è «formazione». Integrata in un piano di investimenti e rilancio. Con la produzione ai minimi storici e il virus che torna a fare paura, non sarà certo un compito semplice quello di Roberto Benaglia, neo Segretario Generale Fim, alla guida delle tute blu della Cisl. Eletto nel ruolo il 13 luglio, lo aspetta un autunno di fuoco: senza la “coperta” di sussidi e ammortizzatori sociali, in ballo ci sono almeno un milione di posti. «Sono convinto che il lavoro non si mantiene solo con i decreti», commenta Benaglia. La vera sfida dei prossimi mesi è «tornare a far crescere l’economia reale del Paese». 

Segretario Benaglia, si è detto che lo scenario attuale è paragonabile soltanto alla crisi del dopoguerra. Quali saranno gli ingredienti della ripartenza? 

In autunno bisogna mettere in campo un rilancio dell’industria manifatturiera e metalmeccanica. Abbiamo avuto una stagione primaverile eccezionale: la fermata produttiva è stata profonda e verticale. Ora occorre rimbalzare positivamente. E soprattutto che tutti i soggetti – le imprese, il sindacato, e il governo – non si limitino a gestire l’emergenza ma che si impegnino a irrobustire la capacità di investimento. 

Il Decreto Agosto ha introdotto nuovi sostegni a lavoratori e imprese, tra cui l’estensione del blocco dei licenziamenti. E’ sufficiente per la tenuta dell’occupazione? 

Questi sono strumenti molto importanti, che non possono però essere utilizzati all’infinito. Il lavoro bisogna crearlo, garantire posti reali. Per i giovani che avevano un contratto a tempo, ad esempio, il blocco dei licenziamenti non è valso. Dobbiamo guardare non tanto a provvedimenti simbolici, ma a provvedimenti reali. Sono già 500mila i posti di lavoro persi in questo paese: dobbiamo evitare che il numero aumenti, anzi va congelato e recuperato. Ci vorrebbe in questo momento un grande patto di solidarietà tra le parti sociali, dobbiamo evitare che qualcuno resti da solo. 

In che modo?

Faccio un esempio: se un’azienda ha 50 dipendenti, e ha perso il 20% della produzione normale, non possiamo far sì che 40 persone lavorino e 10 restino a casa. Proviamo a ripartire gli orari, ridistribuire il lavoro, mantenendo le competenze e investendo in grossi progetti formativi.  

Come Fim Cisl, cosa chiedete al governo?

Di varare e mettere in campo, dopo tanti proclami, le proposte che attuano le risorse del Recovery Fund. Entro il 15 ottobre bisognerà presentare il piano all’Europa: sarà meglio che il governo lo concordi con le parti sociali. Vogliamo che queste risorse si concentrino su poche cose ma fondamentali: la transizione tecnologica, la formazione e le politiche attive, e gli investimenti a favore dei soggetti più deboli. I giovani hanno pagato più di tutti la crisi occupazionale: per loro c’è bisogno di mettere in campo strumenti straordinari di apprendistato, insegnargli un mestiere e favorire le condizioni per portarli in azienda. 

Intanto una parte del Paese, il Mezzogiorno, continua a correre più lenta dell’altra. Il dl in questo senso ha inviato un segnale importante?

Il lockdown ha aumentato le distanze e le differenze tra il Sud e le altre regioni d’Italia. Si tratta per noi di una priorità: difendere un posto di lavoro al Sud vale il triplo che altrove. Cito per tutte tre vertenze indicative dell’emergenza: la Whirlpool a Napoli, l’ex Ilva di Taranto e la Blutec a Termini Imerese. Per chi è escluso dal mercato del lavoro, invece, vanno messi in campo piani straordinari di inserimento. Il governo ha pensato di incentivare le assunzioni con la defiscalizzazione e la contribuzione: è un primo provvedimento, ma già nel passato non ha funzionato. Il problema è avere imprese che assumano al sud, non solo lavoratori da assumere. Bisogna lavorare molto sulle infrastrutture – tecnologiche, ferroviarie e digitali – per favorire la “buona impresa”. 

Lei ha parlato di transizione tecnologica. Come si trasformerà il mondo del lavoro?

Le aziende sono di fronte a un cambiamento epocale simboleggiato dal tema dell’industria 4.0. Ma lo stesso lavoro agile, lo smart working, è un grandissimo cambiamento organizzativo. Su questo tema c’è bisogno di creare supporto ai lavoratori: in Italia le competenze digitali e tecniche sono un po’ più basse che in altri paesi europei, perché spendiamo meno in qualificazione, competenza e informazione. Bisogna creare una vera e propria cultura. 

Ma anche certezze rispetto al futuro. 

Questa è la sfida più grande. Il tema è ridare sicurezza al lavoro: ci sono troppi imprenditori che vivono nell’incertezza di poter programmare la loro attività, troppi lavoratori colpiti dall’incertezza del loro destino contrattuale. Bisogna dimostrare che creare lavoro non è una condizione sotto scacco rispetto al prosieguo dell’emergenza.

Tra i nodi sospesi nella stagione emergenziale c’è il rinnovo del Contratto Nazionale dei Metalmeccanici. A che punto sono i lavori? 

Il lockdown ha ritardato il rinnovo di 10 mesi, ma non deve essere certo un alibi per perdere tempo. Siamo fiduciosi perché dal prossimo 16 settembre, assieme a Fiom, Uilm e Federmeccanica, abbiamo stabilito un calendario molto intenso di incontri fino ad ottobre per sciogliere i nodi principali. Bisogna creare le migliori condizioni perché il lavoro sia tutelato, meglio remunerato, creando al contempo sviluppo nel paese. Serve più contrattazione, che non va certo in cassa integrazione.

Scarica PDF Intervista