Nessuna transizione sia fatta senza di noi
di Roberto Benaglia, Segretario generale Fim Cisl
Avvenire, 17 giugno 2021
Il voto europeo sulla fine della produzione di auto a benzina o diesel dal 2035, ha innescato un dibattito tra le forze politiche del nostro Paese, ma proprio la rilevanza di una questione epocale come la svolta ecologica della mobilità non può restare elitaria, va resa popolare.
Per usare lo slogan che il sindacato europeo Industriall: “Nessuna transizione si può fare senza di noi”. Coinvolgere lavoratori, cittadini e consumatori nelle scelte è decisivo per rendere socialmente sostenibile una transizione che non può essere condotta solo all’insegna dell’idealità ecologista, altrimenti produrremmo benzina per il nuovo populismo degli anni ’20.
Da sindacalista sono stupito di come il dibattito tra leader politici italiani di questi giorni sia del tutto mancato prima del voto. Sono 2 anni che chi si occupa di automotive ha acceso i fari sui rischi di una curva ecologica radicale e non governata. I sindacati italiani dei metalmeccanici hanno lanciato l’allarme sulla potenziale perdita di 70mila posti di lavoro e per la prima volta nella storia, Federmeccanica e Fim,Fiom,Uilm, hanno varato un documento comune (ancora ignorato da un governo) a difesa del lavoro e dell’industria italiana.
L’Italia non può votare come la Danimarca che non ha industria dell’auto o come la Germania, dove i grandi gruppi d’automotive hanno già imboccato per forti motivi commerciali la via della transizione, per noi significa affossarsi industrialmente. L’Italia forte nella componentistica auto deve ottenere misure e contropartite adatte al suo sistema industriale.
La grave mancanza delle istituzioni europee e di chi ha votato a favore dello stop ai motori endotermici, sta nell’aver indicato un obiettivo ambizioso senza mettere in campo un indispensabile piano sociale per la decarbonizzazione. Lasciare sole le industrie di componentistica e i lavoratori in questa transizione è grave e colpevole.
I governi tedesco e francese non solo perché più lungimiranti, ma perché più abituati a difendere l’interesse nazionale delle loro industrie, hanno già varato piani corposi di politica industriale finanziata, facendolo in forte intesa con le parti sociali.
Il governo Draghi non solo non ha ricevuto le parti sociali che hanno avanzato proposte concrete comuni ma non ha in campo uno straccio d’idea.
Detto ciò, non penso sia meglio negoziare il rinvio al 2038 delle disposizioni in discussione, sarebbe una bassa mediazione. A istituzioni e partiti che le sostengono chiedo di recuperare il contatto con i protagonisti italiani dell’automotive, spina dorsale della manifattura italiana. La preannunciata convocazione del tavolo dell’auto al MiSE, al momento vuoto di progetti, entro il 28 settembre è poca cosa. All’Italia serve una politica industriale dinamica ed efficace, attrarre investimenti nella nuova componentistica, incentivare la riconversione industriale di chi si occupa di powertrain, sostenere la riqualificazione delle competenze dei lavoratori.
L’incubo che dobbiamo evitare e che rischia di accelerare se la politica non esercita le proprie prerogative, è di avere un esercito di cassintegrati dell’automotive senza il reddito sufficiente per acquistare auto elettriche, assemblate con componenti cinesi e vendute solo per fasce benestanti della popolazione. Sarebbe un disastro sociale, una sconfitta sonora per il Paese e va spiegata subito a tutti quelli che tifano per Greta Thurnberg.