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WÄRTSILÄ – L’Italia risponda alla delocalizzazione a tradimento”

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Il Piccolo 27 luglio 2022

di ROBERTO BENAGLIA  Segretario generale Fim Cisl 

L’annuncio della multinazionale Wärtsilä di dismettere e trasferire da Trieste in Finlandia la produzione di grandi motori navali, sopprimendo di conseguenza 450 posti di lavoro su 960 è fortemente indicativa delle questioni che riguardano il futuro della manifattura italiana nella competizione globale. Si tratta di un caso non solo grave, ma emblematico in negativo sotto molti punti di vista.

La vertenza Wärtsilä si manifesta a metà di un anno nel quale la manifattura italiana sta dando segnali di forte resistenza positiva nonostante i fattori di peggioramento competitivo (caro energia, aumento e difficoltà reperimento materie prime, instabilità sui mercati). 

La metalmeccanica italiana, al netto delle difficoltà dell’automotive, gira e compete sui mercati.

Ancora più stupefacente risulta quindi la scelta, dichiarata dai vertici aziendali, rispetto al contesto di mercato; non si tratta di una scelta dovuta al caro energia, a difficoltà produttive o logistiche, calo dei mercati o della competitività aziendale. Già questo basta per essere stupiti e chiedere conto di tale grave atto.

In secondo luogo i finlandesi colpiscono con la loro scelta l’unica grande realtà manifatturiera rimasta a Trieste. Deindustrializzare definitivamente una città dalla grande tradizione produttiva, senza dialogare con il territorio e cercare nuove ragioni di rilancio è certamente grave e miope.

Certo, e qui si inserisce il terzo aspetto, sappiamo che all’origine della scelta costruita in segreto per mesi, pesano i cospicui incentivi del governo finlandese al reshoring di attività produttive. Nonostante le regole europee sugli aiuti di stato, spesso applicate a geometria variabile a svantaggio del nostro Paese, il futuro dell’industria si gioca anche su politiche di sostegno che l’Italia non ha mai veramente costruito.

Ma perdere improvvisamente un campione dell’industria navalmeccanica come la produzione di Wärtsilä a Trieste, significa mettere a rischio la sovranità industriale e nazionale italiana. Lo hanno ben capito i nuovi vertici di Fincantieri che, doverosamente e con chiara volontà di difendere la qualificata filiera nazionale del comparto, hanno pubblicamente contrastato questa scelta, che se confermata porterà ad una revisione del partenariato commerciale tra i due soggetti.

I vertici di Wärtsilä, nella comunicazione rivolta alle organizzazioni sindacali e a Ministeri e regione, hanno confermato sulla carta il mantenimento di attività di R&D, commerciali, gestionali e di customer service a Trieste; si tratta tuttavia di progetti costruiti sulla carta poiché, spostata la produzione, sarà ancora più facile in futuro e giustificabile, spostare altre attività di supporto alla stessa.

Un quarto aspetto che la vicenda Wärtsilä ci dice è l’evidente basso livello di capacità manageriale che caratterizza i vertici aziendali italiani. Per mesi, a fronte di un sindacato serio e responsabile come il nostro che si era insospettito di fronte a silenzi e reticenze aziendali nelle relazioni sindacali, i manager di Wärtsilä Italia hanno da un lato negato e dall’altro hanno continuato a cooperare segretamente con la Finlandia per produrre le scelte annunciate, invece che discutere e difendere la competitività del sito di Trieste. E’ per questo che come Fim parliamo di una “delocalizzazione a tradimento”, non giustificata dai risultati industriali e favorita dalle scelte opportuniste dei manager che hanno negato i processi in corso di fronte al MiSE e alla Regione. Non sarebbe successo in nessun altro paese europeo un fatto simile.

Ora serve un confronto vero e aperto e non la semplice ricerca di piani sociali corredati da ammortizzatori. Il caso Wärtsilä è altamente emblematico perché è il primo che misura l’efficacia della norma antidelocalizzazioni che, sulla base dei casi GKN e Caterpillar, il governo uscente aveva definito finalmente nell’inverno scorso. 

Comincia ora un confronto per garantire futuro industriale a Trieste. La Fim Cisl chiede che al tavolo venga ingaggiato un advisor indipendente che possa mettere mano ai conti e agli andamenti industriali e predisporre un piano alternativo a quello calato dalla Finlandia. Succede in tutta Europa che le aziende non delocalizzano da sole ma devono rispondere ai territori per mantenere responsabilità e lavoro. Deve essere questa una vertenza di svolta che fa diventare l’Italia un paese europeo che cura e protegge la propria sovranità industriale. Chiediamo a MiSE e alla Regione di pilotare il tavolo e la vertenza per rispondere a tutte queste anomalie e criticità, dando risposte occupazionali e industriali valide per il futuro a Trieste.