Report FIM CISL: stato di crisi nel settore Metalmeccanico – 1° semestre 2024
REPORT FIM CISL
Stato delle crisi nel settore Metalmeccanico
(1°semestre 2024)
103 mila i metalmeccanici coinvolti nelle crisi: +18.634 rispetto al 2° semestre 2023. Aumentano le crisi di settore e quelle legate alla transizione
Automotive, elettrodomestico, siderurgia, termomeccanica i settori maggiormente colpiti
Uliano (Fim Cisl): servono politiche industriali di sostegno delle transizioni, altrimenti rischiamo di perdere un pezzo importante della nostra industria.
Dall’ultima rilevazione, relativa al II semestre 2023, abbiamo registrato nel I semestre 2024 un aumento sostanziale di lavoratori coinvolti a vario titolo in crisi legate al settore metalmeccanico (finanziaria, di settore e transizione, legate alla carenza di materie prime, a tensioni geopolitiche e guerre, delocalizzazioni): sono +18.634 lavoratori.
Siamo passati infatti dai 83.817 lavoratori coinvolti in crisi al 31 dicembre 2023 ai 103.451 del 30 giugno 2024.
Un dato che conferma in maniera preoccupante i segnali già emersi alla fine dello scorso anno, quando si è registrato un calo, seppur lieve, della produzione industriale. Oggi questo dato, confermato anche dall’ISTAT per il primo trimestre dell’anno in corso, ha assunto una maggiore importanza in termini quantitativi e qualitativi.
Per quanto riguarda il settore metalmeccanico, dal report emerge un quadro preoccupante della situazione complessiva del settore. In particolare si registra un forte calo delle commesse e la conseguente apertura della cassa integrazione in molte delle aziende da noi censite (il campione analizzato comprende 712 aziende metalmeccaniche, di cui 312 sopra i 50 dipendenti e 400 con meno di 50 dipendenti). Molte di queste sono coinvolte a vario titolo nei processi di transizione green o digitale. In particolare, nelle industrie e nell’indotto dell’automotive e termomeccanico si registrano segnali di rallentamento. Stessa cosa per il settore dei mezzi agricoli e macchine di movimento terra. Singolare anche se non rilevante in termini quantitativi rileviamo la difficoltà in diverse aziende produttrici di bici che, dopo la pandemia e la fine degli incentivi statali, avevano avuto un’importante crescita. Stessa cosa per quanto riguarda gran parte del settore dell’elettrodomestico, che sta affrontando importanti operazioni di cambio dell’assetto societario e ristrutturazioni. Da segnalare la crisi di aziende come Fimer (Arezzo e Vimercate), con oltre 1100 dipendenti, che dopo l’acquisizione della divisione ABB per la produzione di inverter fotovoltaici versa in crisi da più di due anni.
La siderurgia sconta un rallentamento della domanda d’acciaio e costi dell’energia che restano – come tra l’altro per altri settori come l’automotive – di gran lunga superiori alla media europea. Ciò si riflette inevitabilmente sulle marginalità e i costi di produzione. Restano aperte nel settore siderurgico storiche vertenze come quella dell’ex-Ilva e della JSW di Piombino, mentre non si intravede una soluzione sulla vicenda Sider Alloy, l’ex-Alcoa di Portovesme che produceva alluminio primario, da anni in stallo.
Le difficoltà finanziarie innescate dalla rapida salita dei tassi d’interesse si sono acuite rispetto al semestre precedente, anche se l’inversione di rotta avviata dalla Bce con il primo taglio comunicato il 6 giugno dovrebbe preludere, qualora la tendenza all’allentamento della politica monetaria fosse confermato, ad un miglioramento nella seconda parte dell’anno e ancor più nel 2025. L’inasprimento delle condizioni di finanziamento continua tuttavia a pesare, soprattutto per le aziende al di sotto dei 50 dipendenti.
Si è invece notevolmente allentata la crisi di materie prime innescata prima dalla pandemia, poi dalla guerra in Ucraina e le dalle tensioni nel Golfo Persico e in tutto il Medio Oriente, grazie alla riorganizzazione – che ha comunque comportato dei costi – delle filiere di approvvigionamento
In alcune regioni, in particolare Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, su molte aziende continuano a pesare gli effetti derivanti dal conflitto tra Russia ed Ucraina, concentrati in particolare nei settori legati ai serramenti, macchinari e impiantistica industriale. Tra queste spicca la vertenza Superjet 550 addetti, progetto italo-russo in stallo ormai da due anni e su cui si va affacciando una possibile soluzione attraverso un fondo d’investimento degli Emirati Arabi.
Sul piano territoriale sono evidenti, rispetto alla precedente rilevazione, che non aveva segnalato particolari criticità, alcune spie di allarme in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, dove registriamo un aumento significativo delle aziende in crisi rispetto al semestre precedente. In particolare risultano diverse richieste di cassa ordinaria per calo delle commesse, una situazione che potrebbe rientrare nella seconda metà dell’anno con una ripresa del mercato, ma che preoccupa per il numero di aziende coinvolte. Si tratta infatti di tre regioni a forte vocazione industriale, in cui oltre le difficoltà di grandi aziende coinvolte nelle transizioni (automotive, termomeccanica, elettrodomestico) si trascinano dietro le aziende medio piccole dell’indotto, che iniziano a riscontrare uno stato di sofferenza.
Per quanto riguarda l’automotive, che in Italia coinvolge oltre 256 mila lavoratori diretti, permane il calo delle vendite, nonostante gli incentivi pubblici alla mobilità green, pari a 950 milioni di euro (per le full electric si sono esauriti in un solo giorno), come pure l’incertezza in tutto il settore. Dopo l’introduzione dei dazi in Europa sulle produzione cinesi di veicoli elettrici, molti si aspettano che, tra gli effetti dei risultati delle elezioni europee del mese di giugno, via sia anche quello di una revisione della decisione di porre fine alla produzione dei motori endotermici nel 2035. Ciò sta determinando incertezze e rinvii dell’acquisto da parte dei consumatori, e pesanti ricadute che si traducono in ore di cassa integrazione sia sui siti produttivi che sull’indotto della componentistica, che vede il nostro Paese tra i maggiori produttori ed esportatori in Europa.
Entro il mese di luglio, dopo oltre un anno di incontri e annunci, è previsto l’incontro a Palazzo Chigi dove verificheremo le condizioni per la firma di un accordo di sviluppo del settore automotive per la produzione di 1 milione di veicoli nel nostro Paese entro il 2030. L’accordo dovrà prevedere responsabilità e impegni precisi tra Stellantis, aziende della componentistica, le istituzioni e le organizzazioni sindacali su tutti gli aspetti necessari a rafforzare il settore automotive a partire dagli aiuti per accompagnare la transizione verso la mobilità ecologica di tutta la filiera. Restano nel settore gravi ritardi rispetto all’infrastruttura per la mobilità elettrica, a cui si sommano i costi dell’energia che, pur attenuati rispetto allo scorso anno, continuano a rappresentare un gap competitivo rispetto ad altre nazioni.
Come accennato, si aggrava la situazione della tenuta delle piccole e medie imprese, che continuano a scontare a causa delle loro dimensioni una minore capacità di reazione sia nella ricerca di mercati e commesse, sia una carenza di liquidità da investire nelle transizioni. Oltre agli aiuti pubblici servirebbe, specie per alcune aziende di filiere coinvolte nelle transizioni, un lavoro di concerto tra istituzioni, grandi multinazionali, sindacato e hub di ricerca (Università, ITS) per gestire il passaggio a nuove produzioni dell’industria 5.0, oltre che l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale come leva per il recupero dei gap competitivi e dimensionali.
Una considerazione a parte merita il Gruppo ex-Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, 10.700 lavoratori diretti e circa 20mila coinvolti tra appalti e forniture, una vertenza storica che dopo il commissariamento da parte del Governo si sta avviando ad una nuova fase che dovrà essere gestita e seguita con la massima attenzione. Dal rilancio di questa vertenza passa gran parte della capacità dell’Italia di traghettare il resto dell’industria nella transizione green. Alla luce poi delle tensioni geopolitiche mondiali resta strategico per tutta l’industria italiana un impianto produttivo di acciaio come quello di Taranto.
Resta infine sostanzialmente immutato il quadro delle “crisi storiche” presenti al MiMIT per quanto riguarda il settore metalmeccanico, che interessa oltre 50 tavoli di crisi. Si tratta di aziende sopra i 200 dipendenti (Blutec, Firema, Jsw Piombino ex-Lucchini, Jabil, Softlab, ex-Ilva, Sider Alloys, ecc.). Tra queste va registrato il cambio di passo su ex-Ilva dopo il commissariamento di inizio anno, anche se ancora c’è molto da fare per il rilancio effettivo del Gruppo e degli impianti.
In conclusione la prima parte del 2024 si contraddistingue, seppur in una tenuta complessiva del settore, per un calo produttivo. Sull’industria metalmeccanica cominciano ad addensarsi segnali di rallentamento, come già timidamente avevamo registrato nell’ultima parte dell’anno certificato. Transizioni, riposizionamento delle catene del valore a livello globale, guerre, tensioni e crisi geopolitiche e calo delle commesse, continuano ad impattare notevolmente sull’intero settore metalmeccanico, che proprio in questa fase necessiterebbe di importanti investimenti economici e infrastrutturali oltre che di una riduzione dei costi energetici.
Per il Segretario generale della Fim Cisl Ferdinando Uliano: “L’aumento sostanziale delle aziende in crisi che registriamo in questo primo semestre 2024 che si è determinato nelle filiere metalmeccaniche, ha prodotto un allargamento dei lavoratori che vivono criticità. Ai tradizionali settori e casi irrisolti di crisi aziendali si sono aggiunti nel corso dei mesi fattori non direttamente legati all’industria a partire dalle tensioni geopolitiche e dalle incertezze, che sommati alla fase di transizione green e digitale stanno determinando effetti negativi anche rispetto alla domanda. A queste si somma un quadro europeo complessivamente in brusca frenata, in particolare nell’industria metalmeccanica tedesca che aveva cominciato a dare i primi segnali a fine anno.
Questo necessita di un sostegno di carattere pubblico che superi la logica dei bonus e investa seriamente e con convinzione su una strategia che punti a finanziare investimenti in nuove tecnologie e rafforzi le competenze professionali dei lavoratori. Gran parte delle aziende in crisi, hanno in un modo o nell’altro a che fare le transizioni green o digitale – transizioni che nel nostro Paese stiamo affrontando in maniera scoordinata. L’Italia non può fermarsi di fronte alle transizioni tecnologiche, digitali e ambientali in atto né pensare che il sistema industriale, da solo, possa affrontare questa sfida. Come metalmeccanici abbiamo messo in campo mobilitazioni e sottoscritto – vedi l’automotive – documenti anche con le parti datoriali per richiedere al Governo delle politiche industriali che governino e sostengano imprese e lavoratori più coinvolti nelle transizioni.
L’innovazione tecnologica ha da sempre rappresentato un fattore di crescita e produttività, ma con essa nell’immediato di diminuzione del lavoro necessario a produrre beni e servizi. Con l’avvento dell’AI nell’industria, questo sarà ancora più rapido e veloce. Potremmo intercettare le opportunità legate a questa rapida e profonda trasformazione del lavoro, solo se sapremmo legarle alla capacità di politiche di formazione e gestione/riorganizzazione del tempo lavoro, anche grazie alle tecnologie.
Per questo nel precedente Contratto Nazionale e nella piattaforma rivendicativa del Contratto Nazionale dei metalmeccanici di cui si è avviata la trattativa proprio questi giorni, tra i principali temi abbiamo inserito la riduzione oraria, la formazione, sviluppando anche processi di partecipazione dei lavoratori nell’impresa tra gli elementi qualificanti. Solo riqualificando e formando le persone potremmo intercettare le opportunità che la tecnologia ci pone davanti.
Ma non basta. La partita di riorganizzazione delle supply chain mondiali e dell’energia green implica da parte del Governo maggiore impegno, per questo continuiamo a chiedere atti e piani concordati che diano certezze e segnino il rilancio possibile di aziende e filiere. Quello in via di definizione al MiMIT con Stellantis nel mese di luglio, costituisce un banco di prova fondamentale e importante, soprattutto se porterà a aumentare i volumi produttivi, sostenere la ricerca e la filiera della componentistica, qualificare e mettere in sicurezza ogni sito con una inversione di tendenza positiva sull’occupazione. Stessa cosa dicasi per l’ex-Ilva su cui aspettiamo già da quest’anno un cambio di passo dopo il commissariamento. La siderurgia è la spina dorsale della nostra industria, non possiamo permetterci di perdere questa sfida, ne verrebbe compromessa la competitività del sistema Paese.
Come FIM siamo continuamente impegnati insieme agli altri sindacati, ad affrontare troppi tavoli di crisi presenti al MiMIT, recentemente abbiamo tenuto una grande manifestazione a Caserta che da terra lavoro si è trasformata in terra di disoccupazione, dove oltre al lavoro manca la presenza della politica e delle istituzioni, delle associazioni impreditoriali. La partita del lavoro e dell’occupazione di qualità si vince se si sta tutti insieme con un comune obiettivo
L’industria metalmeccanica rappresenta una grande leva di benessere economico per l’intero Paese, con grandi potenzialità e un dinamismo che però va accompagnato e sostenuto. Ci aspettiamo dal Governo un’azione più decisa per attrarre nel nostro Paese nuovi investimenti industriali.
Roma, giugno 2024 Ufficio Stampa Fim Cisl