SE L’ALFABETISMO DIGITALE FA PIU’ PAURA DELLA “GIG ECONOMY” – Il Sole 24 Ore, 27 giugno 2016
SE L’ALFABETISMO DIGITALE FA PIU’ PAURA DELLA “GIG ECONOMY”
Il Sole 24 Ore – 27 giugno 2018
di Marco Bentivogli Segretario generale Fim Cisl
Il dibattito aperto da Alberto Orioli su questo giornale, soprattutto per approccio contenuti è un ulteriore tentativo, spero fruttuoso, per riaprire con connotati post-ideologici il discorso pubblico sul lavoro. Sono già visibili gli effetti della vigilia della grande trasformazione del lavoro, delle produzioni, delle nostre viti. Il combinato disposto di Industria 4.0 e delle infrastrutture di blockchain cambierà in maniera profonda l’organizzazione del lavoro. Confinare tali effetti ai lavoratori dei rider e ai relativi “lavoretti” è una lettura approssimativa, anche per il numero dei cosidetti Gig worker, lo 0.04% del mercato italiano (si vedano gli studi di Katz and Krueger, 2016).
Il lavoro 4.0 va ben oltre la food delivery, e necessita, anche nella produzione industriale, di nuove categorie interpretative e giuridiche che non asfaltino il nuovo lavoro. La grande trasformazione sta cambiando tempi e spazi del lavoro industriale. Lo smart working mette in crisi l’idea delle 8 ore, 40 settimanali ma lo fa in modo virtuoso, se contrattate. Abbiamo la prova che in tutti i casi in cui abbiamo contrattato le tutele, è migliorata la conciliazione vita/lavoro e la produttività. Con il nuovo governo rischiamo l’ottava riforma del mercato del lavoro in 11 anni, in un Paese in cui puntualmente ci si divide su queste norme senza peraltro applicarne le intuizioni migliori (vedi, ad esempio, l’apprendistato, la certificazione delle competenze, che attendiamo dalla legge Treu del ’97. Con Pietro Ichino, ho più volte sottolineato che servono norme adeguate ai tempi, ma anche la stabilità di esse, perché la stabilità è un valore. La contrattazione collettiva, su cui insiste la Cisl da anni, più della legge, a tutti i livelli, ha garantito una maggiore affidabilità ed esigibilità delle tutele (soprattutto dopo gli accordi in Fca del 2011). Nel lavoro 4.0 industriale sono necessari sistemi di inquadramento moderni e intelligenti che descrivano e valorizzano la professionalità in evoluzione dinamica. Se cambiano solo nomi alle mansioni e non comprendiamo i nuovi ruoli, perderemo l’ennesimo treno.
Con una contrattazione efficace si fa crescere contemporaneamente la professionalità di tutti i lavoratori, facendo un bene all’insieme dei lavoratori, la professionalità individuale, facendo un bene al singolo. Dal mio punto di vista, nel lavoro 4.0 una sperimentazione può riguardare dei veri e propri contratti “ibridi”, in cui una parte è quella più simile al lavoro subordinato, anch’essa con contenuti sempre nuovi, e una parte “individuale” in cui la persona è coinvolta in progetti, compiti, responsabilità e risultati con caratteristiche quasi simili al lavoro autonomo o meglio “a progetto”. Se il sindacato non riesce a intervenire si questa parte “individuale” del rapporto di lavoro, non solo lasciamo solo il lavoratore, ma chiude gli occhi, smettendo di essere – come si diceva una volta – “autorità salariale” perché perde terreno di negoziazione su tutti i contenuti della prestazione lavorativa: orari, professionalità, salute e sicurezza. Non voglio correre troppo avanti ma vedrete quante opportunità ci offriranno le nuove infrastrutture di blockchain attraverso gli smart contract, occasioni storiche che potrà cogliere chi non gira le spalle al progresso. Una delle applicazioni, tra le innumerevoli, delle infrastrutture della blockchain sono gli smart contract (contratti intelligenti).
Un contratto intelligente è un accordo che si perfeziona, automaticamente, in presenza di condizioni. Se pensiamo a tutto il mercato del lavoro, non solo alla Gig economy, credo che il livello di trasparenza, di fiducia e affidabilità, garantirà semplificazione, e riduzione di abusi. Certamente le tecnologie blockchain permetteranno di avere quelle garanzie di fiducia, affidabilità e sicurezza che nel passato erano necessariamente delegate a una figura “terza”. L’esigenza di gestire l’attivazione o disattivazione di un contratto continuativo o saltuario in funzione di alcune condizioni molto semplici, senza burocrazia, cancellerebbe molti alibi. Il contratto deve far scattare tutte le comunicazioni per avviare le coperture assicurative e contributive e non consentire irregolarità nel riconoscimento dell’orario di lavoro. Ci sono sperimentazioni molto interessanti, in alcuni casi, penso ad app come Strajob (che ha lavorato in collaborazione con la Cisl) che consente al lavoratore di dimostrare la presenza sul luogo di lavoro. Pensate agi smart contract collegati ai dispositivi di lavoro anche attraverso le tecnologie lot (Internet of things) anche nelle imprese, gli spazi che si aprono sono molti. Innanzitutto bene fa chi sostiene che serve costruire contratti nuovi, (senza occuparsi subito della loro collocazione gerarchica) aiuta forse più che ricorrere da subito a un ulteriore delegificazione. Il nuovo lavoro ha sempre più forme inedite e, visti i numeri, a me interessa sempre di più come condizionerà la contrattualistica del lavoratore industriale. Diamo un’occhiata ai dati, molto accurati del mercato del lavoro americano sui 1099rs (lavoratori indipendenti). La contrattazione e la tecnologia de-zavorrata dalla iper-ideologizzazione del lavoro può fare molto in termini di stabilità. La grande trasformazione ci sfida sul decentramento contrattuale (indicazione che arriva proficuamente anche dalla recente intesa interconfederale) perché è l’unico livello utile a stare al passo con i cambiamenti, come scritto anche nel recente accordo interconfederale sulla contrattazione. Bisogna puntare a una contrattazione territoriale di ecosistema che migliori l’habitat oggi sfavorevole a imprese e lavoratori. Il 90% dei lavoratori lavora in aziende sotto i 20 dipendenti.
Secondo Infocamere 2/3 delle imprese non sono su internet e 4 imprenditori su 10 dicono che “Internet è inutile” in tempi di rinvio di fatturazioni elettroniche, l’analfabetismo digitale mi preoccupa più della Gig economy. Per fortuna c’è un “Italia a prescindere” che va fatta crescere, che non chiede rinvii e che è cresciuta lontano dai monitor della rappresentanza e che merita un Paese coraggioso per la sfida del lavoro.