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A cento anni dall’Appello di Sturzo, l’Italia è un paese “ancora una volta lacerato e diviso” – Il Foglio 19 gennaio 2019

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La riscossa civica di oggi

 A cento anni dall’Appello di Sturzo, l’Italia è un paese “ancora una volta lacerato e diviso”

di Marco Bentivogli – Il Foglio 19 gennaio 2019

 

In Italia si susseguono le celebrazioni del centenario dell’Appello “ai liberi e forti”, parole dirompenti, dopo un secolo, in un momento politico in cui le parole e le opinioni non superano la giornata.

Credo che accanto a quelle parole non possiamo permetterci di dimenticare come furono accolte.

Sturzo fu al centro di tanti conflitti, questi offrono la chiave per comprendere la sua attualità. Scontri che non cancellano una domanda difficile: perché? In realtà in queste parole se ne rintraccia una risposta:

“Io non ho nulla, non possiedo nulla, non desidero nulla. Ho lottato tutta la mia vita per una libertà politica completa, ma responsabile. Alla perdita della libertà economica, verso la quale si corre a gran passo in Italia, seguirà la perdita effettiva della libertà politica, anche se resteranno le forme elettive di un Parlamento apparente, che giorno per giorno seguirà la sua abdicazione di fronte alla burocrazia… agli enti economici, che formeranno la struttura del nuovo stato. Che Dio disperda la mia profezia”. (Don Luigi Sturzo, 4 ottobre 1951).

Un secolo dopo l’Appello “ai liberi e forti”, un appello in primo luogo antifascista, anche se allora fu scarsamente raccolto, la sua semina è ancora feconda.

L’Appello è interconfessionale, disegna i caratteri di una forza sociale e politica centrale e ragionevole (non sopporto le parole centrista e moderato che nella nostra storia hanno attirato più i tiepidi di valori), pronta ad alleanze con i liberali, con un senso spiccatamente antifascista. L’Appello accettava ed esaltava il ruolo della Società delle Nazioni, difendeva “le libertà religiose contro ogni attentato di setta”, il ruolo della famiglia, la libertà d’insegnamento, il ruolo dei sindacati. Il ruolo dei corpi intermedi e delle donne che la gerarchia, nonostante la Rerum Novarum, non gradiva. Si poneva particolare attenzione a riforme democratiche come l’ampliamento del suffragio elettorale, compreso il voto alle donne, si esaltava il ruolo del decentramento amministrativo e della piccola proprietà rurale contro il latifondismo.

Come è stato detto, l’Appello è forte oggi come allora in un momento di attacco volgare delle società chiuse contro le “società aperte”.

Questa è la grande attualità della visione di Sturzo, questo rende il “popolarismo” di Sturzo una buona piattaforma sul presente e un nemico terribile di ogni “populismo” (anche religioso).

Ripensiamo alla fede sincera nella persona che è fiducia nella libertà e la poliarchia, o “plurarchia”, altro che i simulacri della democrazia sotto forma di clic digitale: Sturzo ci parlava di una società senza centro e senza vertice, che vedeva la modernità e il progresso non come ostacolo ma come tempo favorevole, “drammatico e stupendo”. Come quarant’anni dopo disse Papa Paolo VI: “Non molle e vile è il cristiano, ma fedele e forte” (Ecclesiam suam).

Oggi in un momento di webstar a caccia di clic e politici senza radici è ancora più forte il crescente bisogno di riferimenti forti, e liberi: non esistono maestri senza queste virtù, proprio in un’epoca di grande smarrimento, di grandi “rumori”, di grandi ed esaltate paure, di assenza di pensiero, di vuoto di leadership coraggiose.

A cento anni dall’Appello ai liberi e forti l’Italia è un paese “ancora una volta lacerato e diviso”. Lo ha ricordato il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti: “Risuona nell’animo di quanti hanno a cuore le sorti del Paese, risuona nell’animo di quanti sentono quella spinta ideale che vede nella difesa della vita e nella promozione umana il motivo di fondo di ogni impegno sociale”. E’ ancora più importante il riconoscimento di Bassetti di quanto Sturzo abbia pagato di persona il suo impegno per la verità, la libertà, la giustizia, l’amore e la pace, ricordando le sue incomprensioni con la gerarchia e la sua opposizione al fascismo, ripercorrendo “la storia di un uomo, di un sacerdote che ha percorso la strada della santità e dell’impegno cristiano attraverso un particolare impegno pubblico” assunto “per amore del Cristo che ha scorto sofferente nei suoi concittadini nudi e affamati, lo ha fatto per il suo amato Paese, che vedeva preda delle fazioni più estreme, nell’oscuramento dei valori della dignità umana e del progresso civile. Quell’Appello parla direttamente agli uomini di oggi, interroga profondamente la nostra società così marcatamente chiusa, rancorosa, individualista e nichilista e soprattutto esorta a una riflessione profonda tutti i cattolici”.

“Ai liberi e forti” è un monito a chi evoca giuramenti elettoralistici sul Vangelo e la Croce, significa, prima di tutto che la dignità umana è incalpestabile, essere fedeli al Vangelo in ogni campo dell’agire umano, anche in quello politico, con mitezza, sobrietà e carità.  Essere prima di tutto difensori coraggiosi della vita, perché “la vita non si uccide, non si compra, non si sfrutta e non si odia”. Le difficoltà di Sturzo con la gerarchia e con la politica di allora sono le stesse di sempre nei luoghi dei corpi sociali e politici, dove il conformismo è l’incapacità di custodire la libertà: quello che Mauro Magatti chiama il “vuoto promettente” che mette insieme le persone con idee e percorsi diversi, è indispensabile affinché tali percorsi siano generativi di cambiamento. Su questo Sturzo è un maestro di etica politica, ricordando che bisogna “servire” la politica e non servirsi di essa.

Sturzo fu pro sindaco, organizzò cooperative rurali e bancarie, creò scuole, fondò giornali, costruì una rete di “complicità” con altri giovani sacerdoti della sua età. Dalle sue iniziative emerse la sua figura come leader nazionale. Ricevette il messaggio dell’impegno sociale e politico dall’enciclica Rerum Novarum, che è del 1891. Tutte innovazioni che ieri come oggi condannarono i burocrati custodi delle sacralità dei ruoli mentre il mondo andava altrove. Il crescente impegno di Sturzo gli fece declinare la questione morale ben prima di Enrico Berlinguer: Statalismo, partitocrazia, sperpero di denaro pubblico, tre emergenze che sintetizzano la questione morale ancora non affrontata nel paese. A evocarle era proprio don Luigi Sturzo, che non “stava nel mezzo” dell’ambiguità di troppi centristi delle sue terre e nel 1946 richiamava l’attenzione della politica e delle istituzioni sulle virtù imprescindibili da coltivare nello Stato repubblicano.

Servire, non servirsi. La prima regola del buon politico. Sturzo ha contrastato con forza il dilagare dello Stato imprenditore, un ruolo che egli giudicava “pericoloso”, per le tante tentazioni che un forte afflusso di denaro in mani politiche avrebbe potuto creare e per la sicura inefficienza della sua gestione. Arrivò a parlare anche di “Sindacatocrazia” lanciando, allora, un monito al Sindacato su questo: “L’infezione statalista si è estesa nei partiti, nei sindacati e negli enti pubblici. Come conseguenza il decadimento morale si estende nel Paese”. Fu un monito importante la cui la reazione sorda paghiamo ancora, quando il potere legittimo, in nome dello Stato, si confonde con quello illegittimo. I limiti morali e legali cedono. La libertà non è più garantita e l’arbitrio ne prende il posto, per “un pubblico” che non ha nessuna attinenza né con l’interesse generale né con la statualità che unisce una comunità. Anche da questo punto di vista l’Appello è un richiamo a recuperare orizzonti lunghi e a superare il ricatto di breve termine a cui ricorrono tutti i populismi e le richieste di scorciatoie in cui ricade ciclicamente la classe dirigente del nostro Paese.

Sturzo, Dossetti e De Gasperi sono figure diversissime, tutte dirompenti e spesso considerate addirittura “sovversive” nei loro ambienti di provenienza. Eppure le loro parole sono ancora forti come tuoni. Il nazionalpopulismo ha vinto anche per questo, oggi la mediocrazia e il conformismo e la richiesta di fedeltà sono più forte di ogni cosa, anche negli spazi dove storicamente nasce il cambiamento. L’Appello ai liberi e forti è il più bell’appello alla libertà come valore insopprimibile di fioritura del genere umano, difendiamola sempre, ovunque e da chiunque. “La libertà è come l’aria: si vive nell’aria; se l’aria è viziata, si soffre; se l’aria è insufficiente, si soffoca; se l’aria manca, si muore”. Da ricordare per tornare a essere #popolari

 

 

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