I METALMECCANICI CONTRO LA POVERTA’ – Avvenire – 30 aprile 2021
Avvenire, 30 aprile 2021
di Roberto Benaglia – segretario generale Fim Cisl
Il sensibile incremento della povertà assoluta in Italia è una delle più gravi conseguenze sociali che la pandemia ci lascerà, e non per poco tempo. L’allungamento impressionante delle file nei pressi dei centri di distribuzione dei pasti nelle città, è solo la punta di un iceberg sociale sommerso, silenzioso ed assai profondo.
Cosa possono fare i metalmeccanici per contrastare la diffusione della povertà? Sappiamo che in quelle file e in quelle famiglie sono pochi i metalmeccanici.
Nella crisi, ammortizzatori e altre tutele sindacali, sono ancora in grado di proteggere, in buona parte, le condizioni dei lavoratori di questa categoria.
Sono invece i lavoratori autonomi, a termine, occasionali o di settori con protezioni deboli, magari figli di metalmeccanici, le persone più esposte al rischio povertà.
La tradizione e il robusto senso di solidarietà e giustizia sociale che anima la categoria dei metalmeccanici non può permetterci di restare a guardare. Le disuguaglianze rischiano di trasformarsi in vere e proprie fratture sociali, dannose per la coesione, per la stessa ripresa economica e per la democrazia. Senza bandiere di parte aprendo ad un fronte il più largo e plurale possibile, la Fim Cisl intende mettere in campo direttamente un proprio programma di impegno.
Sappiamo che tocca principalmente allo Stato fornire risposte robuste ed adeguate. E’ in atto una necessaria revisione e rafforzamento di misure quali il Reddito di cittadinanza e Reddito di emergenza. Ma lo Stato non arriverà dappertutto e in tempo, per cui la sussidiarietà e l’azione del volontariato e dei soggetti sociali sono sempre più indispensabili.
Il sindacato ha una diffusa rete di presenza nel territorio, ma non avrebbe senso muoverci da soli. Pensiamo che sia più utile impegnarci per cooperare e supportare i radicati programmi che Caritas, Banco Alimentare, Comunità di Sant’Egidio e altre Ong hanno già in campo, con professionalità ed esperienza a cui ci vogliamo affidare.
Cercheremo da subito interlocuzione e confronto per mettere in pratica un progetto sinergico che valorizzi il nostro ruolo di associazione fatta da donne e uomini, attivisti, delegati e sindacalisti animati da profondi valori.
Penso nel concreto alla possibilità non solo di raccogliere fondi e di sollecitare donazioni da parte dei nostri iscritti e sindacalisti, ma anche di garantire ore di volontariato prestate da nostri delegati sindacali presso le Ong coinvolte e di orientare l’azione contrattuale, che è il nostro principale mestiere, a generare risorse indirizzate a questi programmi.
Perché infatti non pensare di accordarci con le aziende per destinare quote di flexible benefits, di welfare contrattuale o di risparmi ed efficienze contrattate dalle parti al contrasto alla povertà? Magari con un raddoppio del contributo da parte delle imprese? Perché non recuperare in questa prospettiva i prodotti alimentari non consumati nelle mense? E come non occuparci anche della “povertà digitale” che lascia troppi giovani esclusi dall’accesso a internet?
In alcuni territori esistono già buone pratiche di questo tipo, sia contrattate che promosse unilateralmente dalle imprese più sensibili. Moltiplicare gli sforzi e darsi un programma nazionale di stimolo e di azione è possibile e aiuterebbe a mettere in campo disponibilità e risorse importanti, lasciando meno soli enti e volontari che ogni giorno reggono un fronte sempre più pesante.
Dobbiamo agire. Dobbiamo fare spazio, nella frenesia dell’agenda sindacale quotidiana, ad una azione più profonda, in grado di toccare e sostenere quel rapporto con gli ultimi della nostra società di cui come persone e come sindacalisti dobbiamo farci carico e cura.