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REPORT FIM CISL STATO DELLE CRISI NEL SETTORE METALMECCANICO

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REPORT FIM CISL

Stato delle crisi nel settore Metalmeccanico

(1°semestre 2022)

Il settore metalmeccanico tiene ma le filiere energivore e automotive segnano sofferenza.

70 mila i metalmeccanici coinvolti (+16.155 rispetto a dicembre 2021)

In questo primo semestre dell’anno abbiamo registrato, rispetto all’ultimo semestre del 2021, una crescita di +16.155 di lavoratori metalmeccanici coinvolti a vario titolo in crisi legate al settore metalmeccanico (finanziarie e legate a delocalizzazioni e guerra, di settore, d’indotto, legate alle materie prime) passando dai 54.712 lavoratori di dicembre dello scorso anno ai 70.867 coinvolti al 31 giugno 2022. 

Per quanto riguarda il settore metalmeccanico, quello che emerge dal report è un quadro che, se pure all’interno di un forte dinamismo complessivo della produzione industriale, trainata soprattutto dall’export, comincia a manifestare una situazione di sofferenza in alcune filiere particolari. 

Alle ricadute innescate dalla pandemia, in particolare quelle legate alla carenza di materie prime (a partire da semiconduttori e componentistica auto ma non solo) e agli aumenti dell’energia – ai quali si lega una prima fiammata inflattiva a fine 2021 – si sono aggiunte in questo ultimo semestre, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio scorso, le difficoltà dell’economia globale. Una situazione che ha moltiplicato il costo dell’energia, incidendo maggiormente sui settori a più alto utilizzo della stessa, a partire da siderurgia e metallurgia, dove addirittura i costi energetici sono diventati la prima voce di costo, superiore persino al costo del lavoro. Tutti fattori che insieme stanno compromettendo la ripresa di settori strategici, come quelli dell’elettrodomestico, della siderurgia e dell’automotive, mettendo in crisi molte piccole e medie imprese legate all’indotto. 

In particolare, per quanto riguarda l’automotive, pesa anzitutto l’estrema debolezza nelle vendite di auto, disorientata anche dalla scelta dell’UE nel mese di giugno di fermare la  produzione dei motori endotermici nel 2035 in tutt’Europa, nonché l’andamento a singhiozzo nella fornitura di semiconduttori,  innescando in tal senso una situazione di forte preoccupazione, legata soprattutto alla massiccia presenza di componentistica nel nostro Paese – specie nei siti di powertrain. Ne consegue una serie di crisi conclamate nonché di fermi produttivi nei principali stabilimenti del Gruppo Stellantis (vedi: Melfi, Cassino, Pomigliano, Sevel) e conseguentemente dell’indotto, con un aumento della richiesta  ammortizzatori sociali. 

Un dato, quest’ultimo, evidenziato anche nel report dalle oltre 60 crisi di settore censite, per lo più legate al settore auto, alle quali si sommano le 23 crisi aziendali legate alla carenza di materie prime, gran parte delle quali legate all’auto e all’elettrodomestico, per un totale di 41.762 lavoratori coinvolti, ai quali poi andrebbero sommate le crisi d’indotto, anche queste legate per lo più al settore auto e che contano altri 3597 lavoratori. 

Una situazione, quella dell’automotive, estremamente preoccupante, rispetto alla quale vanno seriamente messe in campo risorse e politiche di sostegno al settore, sia per quanto riguarda la riconversione industriale, che per quanto riguarda la riqualificazione e formazione delle persone, mettendo in campo ammortizzatori ad hoc per gestire la transizione. Sono infatti oltre 70 mila i posti di lavoro a rischio nel solo settore automotive, gran parte già rilevati nelle oltre 60 crisi di settore registrate nel nostro report che coinvolgono oltre 32mila posti di lavoro. Gran parte di questi sono legati direttamente o indirettamente all’auto. 

A questo si aggiunge, poi, la situazione di incertezza e di riposizionamento geopolitico delle filiere di approvvigionamento e del valore, già innescata dalla pandemia, ma che con il conflitto in atto sta subendo ulteriori scossoni. Da questo punto di vista, è positivo il fatto che, rispetto alla precedente rilevazione, calano le aziende che fermano la produzione o sono in crisi per carenza di materie prime, sintomo che molte aziende hanno reagito trovando in breve tempo nuovi mercati di approvvigionamento. Siamo passati, infatti, dai 26.024 lavoratori coinvolti nelle prime tre settimane del conflitto a vario titolo nella crisi, a 12.613 lavoratori coinvolti. Di questi, la maggior parte delle aziende insistono nel Nord-Est del Paese, in particolare in Veneto e Friuli Venezia Giulia, e interessano realtà di produzione di serramenti, laminati e macchine utensili per la produzione di profilati. Rispetto a queste, resta preoccupante la situazione dei 130 dipendenti di Tessera (Venezia) coinvolti nella joint venture Superjet tra l’Alenia-Aermacchi e la russa Sukhoi Holding. 

La carenza di semiconduttori, componenti elettroniche e materie prime, in particolare materiali metallici, continua a interessare anche il settore dell’elettrodomestico. Da registrare, per il Gruppo Electrolux, alcune sofferenze per quanto riguarda i materiali di assemblaggio, e la stessa situazione si riscontra per quanto riguarda i siti del Gruppo Whirlpool, relativamente ai quali però si aggiunge una situazione di incertezza rispetto alla conferma del mantenimento degli investimenti in Italia e di carenza di materie prime. 

Permane, seppur limitata, la povertà di materie prime legata alla lavorazione siderurgica che aveva interessato, specie nel nord-est, alcuni impianti siderurgici nella prima fase del conflitto, oggi in parte rientrata. Come la carenza di rottame, anche quest’ultima è rientrata grazie ai provvedimenti messi in campo dall’Ue e dall’Italia per frenare l’export di rottame fuori dal continente. Permane, per tutto il settore, l’allarme per il costo dell’energia che, specie per i piccoli impianti di laminazione e fonderie, sta generando situazioni di forte sofferenza e ricorso agli ammortizzatori. 

Una considerazione a parte merita il Gruppo ex-Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, vertenza storica che, nonostante le buone intenzioni manifestate a inizio anno, resta lontana dagli obiettivi di una ripresa produttiva e occupazionale. L’ingresso a maggioranza dello Stato, tramite Invitalia, nel nuovo assetto societario di Acciaierie d’Italia, che doveva concretizzarsi a maggio di quest’anno, è stato rinviato di due anni e l’obiettivo di 5.7 mln di tonnellate a fine anno per il sito di Taranto resta solo sulla carta, tanto che la scorsa settimana la società ha annunciato una nuova cassa integrazione.  

Preoccupante anche la situazione dei 7461 lavoratori coinvolti in crisi finanziarie: per lo più si tratta di aziende legate all’indotto Leonardo per la manutenzione delle  aerostrutture. Queste aziende, prevalentemente concentrate tra Campania e Puglia, si trascinano ancora dietro la crisi legata alla manutenzione del trasporto aereo, che ha subìto una pesante battuta d’arresto nei due anni di pandemia. Da evidenziare il caso della crisi finanziaria della Fimer di Arezzo, azienda del settore delle rinnovabili, con  400 dipendenti, oggi tutti con contratto di solidarietà.  

Resta purtroppo sostanzialmente immutato il quadro delle “crisi storiche” presenti al Ministero dello Sviluppo Economico che, per quanto riguarda il settore metalmeccanico, interessa 51 tavoli di crisi nazionali: si tratta di aziende sopra i 200 dipendenti  (Blutec, Firema, Jsw Piombino – ex-Lucchini – Jabil ecc.) per le quali stentano a decollare piani di reindustrializzazione concreti. 

Per il Segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia “il quadro delineato dal nostro report evidenzia alcune crepe e difficoltà crescenti in particolari ma importanti filiere produttive. L’industria metalmeccanica sembra avere assorbito meglio del previsto e meglio di altri Paesi europei concorrenti gli shock di reperimento di materie prime e aumento dei costi energetici causati dal conflitto in Ucraina, ma ora vede deteriorarsi alcune situazioni di criticità: l’automotive e la componentistica correlata sono nel nostro panorama, la filiera sta aumentando le sofferenze industriali ed occupazionali. Anche elettrodomestico e componentistica dell’aerospazio costituiscono, in subordine, due ulteriori filiere che mostrano affanno. E aumentano le aziende, soprattutto di media dimensione, con crisi finanziarie. 

Il quadro che emerge, pertanto, non è drammatico ma richiede con urgenza la definizione di politiche industriali di sostegno ai settori in difficoltà, a partire dall’automotive, come chiesto più volte, anche congiuntamente con gli altri sindacati e Federmeccanica. Ci preoccupa anche il possibile rallentamento dell’economia mondiale e gli effetti sulla manifattura dei preannunciati rialzi dei tassi di interesse. Decisivo sarà poter contare sulla stabilizzazione delle catene di fornitura e sul contenimento dei costi energetici. 

Ma la vera partita riguarda il sostegno alla manifattura. In questo senso il PNRR è poco orientato all’innovazione dell’industria italiana e vanno accelerati e aumentati gli sforzi e gli strumenti in tal senso. La politica industriale è un tema sempre più moderno e centrale. Governare le transizioni, a partire da quella ambientale, è un fattore critico e decisivo sul quale l’Italia si mostra arretrata. Come Fim Cisl chiediamo che il confronto con il governo e i ministeri interessati dia consapevolezza e risposte a queste concrete esigenze.”

Ufficio Stampa Fim Cisl 

15 luglio 2021