La Fim con REWIND punta a valorizzare il CAPITALE UMANO
Riproponiamo un interessante e attuale contributo di quest’anno del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco Visco_30012015
Capitale umano e crescita
Intervento del Governatore della Banca d’Italia
Ignazio Visco
Le difficoltà del presente e i problemi del passato
Oggi l’economia italiana stenta a uscire dalla prolungata fase di crisi in atto da ormai sette anni, che ha causato una riduzione di circa 9 punti percentuali della nostra produzione annuale di beni e servizi. Particolarmente costose, in termini non solo economici ma anche sociali, sono state le conseguenze sull’occupazione. Dal 2007 a oggi il tasso di disoccupazione, che ormai supera il 13 per cento della forza lavoro, è più che raddoppiato; i disoccupati hanno raggiunto i 3,5 milioni, con un aumento di quasi due milioni di unità. La disoccupazione giovanile è anch’essa più che raddoppiata: su 100 giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che hanno o ricercano un lavoro, oltre 40 non riescono a trovarlo.
Queste cifre sintetizzano la severità dell’impatto provocato dalla peggiore recessione sofferta dalla nostra economia dal dopoguerra. Tuttavia, i problemi che fronteggiamo non sono solo il risultato della crisi finanziaria del 2007-08, aggravatasi con la crisi dei debiti sovrani che negli ultimi anni ha colpito l’area dell’euro. Già prima di questi anni di crisi globale ed europea, quella
italiana era un’economia ferma, riflesso di un forte e diffuso indebolimento della capacità del nostro paese di crescere e competere.
Il sintomo più evidente di questo indebolimento è la fiacca evoluzione di quella che gli economisti chiamano produttività totale dei fattori, una variabile che coglie la capacità delle imprese di innovare e organizzare in modo efficiente i fattori produttivi (quanto si riesce a produrre, cioè, in un dato orizzonte di tempo utilizzando al meglio le risorse – fisiche e umane – disponibili).
Tra il 1996 e il 2007, il suo tasso di crescita medio annuo è stato meno di un terzo di quello dell’area dell’euro (0,2 rispetto a 0,7 per cento). Ciò si è riflesso in una crescita della produttività del lavoro pari a meno della metà di quella dell’area dell’euro (0,6 contro 1,3 per cento). Negli anni del miracolo economico e fino agli anni settanta del Novecento la produttività del lavoro cresceva a
un ritmo di circa otto volte quello del decennio precedente gli ultimi anni di crisi.
Questi andamenti riflettono una serie di nodi irrisolti che affliggono l’Italia. I caratteri di debolezza strutturale della nostra economia sono antichi. Sono divenuti evidenti nell’ultimo quarto di secolo, quando ci siamo trovati impreparati ad affrontare il contesto altamente competitivo originato dalla globalizzazione e a cogliere appieno le favorevoli occasioni offerte dalla crescente e rapida integrazione dei mercati mondiali, anziché subirne soprattutto i costi. Particolarmente grave è stato il ritardo con il quale ci si è andati adeguando agli eccezionali e continui progressi tecnologici,
in primis, ma non solo, quelli delle nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni.
Per ritornare a una crescita economica stabile e sostenuta non basterà quindi uscire dall’attuale difficile congiuntura, ma occorrerà abbattere gli ostacoli strutturali della nostra economia e società. Le analisi condotte in Banca d’Italia ne hanno da tempo sottolineato molti: il difetto di concorrenza nel funzionamento dei mercati dei beni e dei servizi, la bassa efficienza della
pubblica amministrazione, il peso insopportabile della criminalità e della corruzione. Tra questi, rientra tuttavia anche una preoccupante carenza nella dotazione di capitale umano.
Abbiamo fatto enormi e indubbi progressi nella dimensione relativa alla “salute”. L’Italia è uno dei paesi in cui la longevità della popolazione è aumentata più velocemente, fino a raggiungere livelli tra i più elevati al mondo. Molto lo si deve ai progressi della medicina e alla loro diffusione in tutti gli strati della popolazione, resa possibile da un servizio sanitario nazionale universale.
Lo stesso progresso non ha però riguardato la dimensione del capitale umano relativa alla “conoscenza” e alle “competenze”. Lungo questa dimensione, il ritardo “secolare” del nostro paese rispetto ad altre economie avanzate è rimasto cospicuo e siamo oggi indietro anche rispetto a molte economie emergenti. Il patrimonio di conoscenze, competenze e abilità di cui le persone sono dotate
si associa a più elevati livelli di crescita del reddito e di sviluppo economico e sociale. Esso contribuisce ad aumentare la produttività sia direttamente, accrescendo le capacità della forza lavoro, sia indirettamente, incentivando l’adozione di tecnologie più avanzate e l’innovazione.
È su questo secondo tema che desidero ancora una volta soffermarmi, per la visibile rilevanza del progresso tecnologico nel mondo in cui viviamo, per i suoi potenziali effetti sul mercato del lavoro, per la necessità che la politica economica intervenga per coglierne i massimi benefici e contenerne le conseguenze negative. In parte trarrò spunto, in quanto segue, da un mio recente contributo, “Perché i tempi stanno cambiando …”, presentato nell’ultima “Lettura” del
Mulino lo scorso ottobre.