BENTIVOGLI: sui contratti serve più coraggio
BENTIVOGLI: “sui contratti serve più coraggio”
di Giorgio Pogliotti – Il Sole 24 Ore 16 gennaio 2016
Con le sue critiche, il leader dei metalmeccanici della Cisl, Marco BENTIVOGLI (45 anni), ha incassato qualche applauso, gelando buona parte della platea di sindacalisti che giovedì alla riunione degli esecutivi unitari Cgil, Cisl e Uil ha approvato all’unanimità la proposta sul nuovo sistema di relazioni industriali. Il numero uno della Fim ha sollecitato “più coraggio” perché “l’unità ritrovata non deve riaprire una stagione di sole piattaforme che non avviano neanche negoziati, significherebbe diventare più deboli”.
Per quali ragioni dopo aver sottolineato diversi punti critici della proposta sindacale ha votato a favore?
Ho votato a favore, e sosterrò la piattaforma, ritenendo che la scelta di costruire una proposta unitaria sia l’unica condizione, in questa fase, per poter aprire il confronto con le imprese. Le altre strade si sono rivelate impraticabili. Bisogna riaprire spazi chiusi mesi fa, non per responsabilità della Cisl. Resta cruciale il fattore tempo. Questa proposta presenta alcune criticità, essendo il frutto di una difficile sintesi tra le diverse posizioni del sindacato. Dopo anni di divisioni non siamo riusciti a sciogliere alcuna contraddizione.
Quali?
La tutela del potere d’acquisto e il riferimento all’inflazione deve restare il cardine del contratto nazionale. Ogni aumento aggiuntivo deve riferirsi alla produttività ed essere distribuito laddove si crea, a livello aziendale. La sfida è diffondere la contrattazione decentrata che ha avuto una frenata durante la crisi.
Come risponde alla leader della Cgil, Camusso, secondo cui, con l’inflazione a zero, legare gli aumenti alla sola produttività escluderebbe l’80% dei lavoratori delle aziende in cui non si fa contrattazione?
La deflazione è un’occasione per puntare sul decentramento. Se si decide di distribuire a livello nazionale la ricchezza prodotta, non potrebbe che essere una media. Con l’effetto di scontentare i lavoratori delle aziende in cui la produttività è su livelli più alti, mettendo nei guai anche quelli che sono al di sotto. In settori come il nostro la produttività è negativa, e si avrebbe un effetto regressivo sui salari. La scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello non si risolve caricando il contratto nazionale. Piuttosto il Ccnl va ricondotto al proprio ruolo, poiché la sovrapposizione dei due livelli è una delle ragioni che frena la diffusione della contrattazione. Come accade nel nostro settore, il contratto nazionale può prevedere un elemento perequativo per assicurare aumenti anche ai lavoratori delle aziende dove non si fa contrattazione di secondo livello.
Che impatto avrà la proposta confederale sul negoziato con Federmeccanica per il rinnovo contrattuale?
L’obiettivo è adeguare tutti i minimi salariali all’inflazione. I contratti rinnovati hanno avuto circa il 4% ovvero l’Ipca. Per altre categorie, come i metalmeccanici, le imprese non vogliono concedere l’inflazione. In questo contesto è difficile immaginare di ottenere con il Ccnl più dell’inflazione, come previsto dalla proposta unitaria. La storia insegna che le piattaforme di categoria lontane dalla realtà non hanno portato ad accordi migliorativi, ma alla necessità di difendere la faccia dei sindacalisti che le hanno presentate gonfiate, con scioperi a svantaggio dei lavoratori. Nei metalmeccanici le vertenze contrattuali con più scioperi hanno incassato meno salario.