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Un sindacato nuovo per l’industria 4.0 – l’Unità 18 giugno 2016

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 Un sindacato nuovo per l’industria 4.0

una riflessione sulla rappresentanza, presente e futura, nel libro del leader Fim-Cisl Marco Bentivogli

di Francesco Zappa – l’Unità 18 Giugno 2016 

In uscita il 23 giugno il libro di Marco Bentivogli, Segretario Generale della FIM Cisl, “Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato”. 

“Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare al meno del sindacato”,  questo il titolo del libro, edito da Castelvecchi per la collana Radar, scritto da Marco Bentivogli, 46 anni, Segretario Generale dei metalmeccanici della Cisl, con la prefazione di Bruno Manghi, in libreria dal 23 giugno. Un libro di cui sentiremo parlare e che vuole riaprire il dibattito sul ruolo del sindacato, nell’epoca della disintermediazione e della rivoluzione tecnologica che sta trasformando il mondo del lavoro.

C’è chi vede nel sindacato un baluardo di resistenza ai cambiamenti, un freno alla modernità. Luoghi comuni, strumentalizzazione mediatica, deformazione demagogica della realtà oppure il sindacato è incappato in errori tali da consentire l’affermarsi di un pregiudizio così feroce?

Bentivogli si batte contro il pregiudizio dei luoghi comuni ma non nega gli errori. E parte da questa riflessione per analizzare i limiti di un sindacato che non sempre in passato è stato capace di anticipare i cambiamenti e di rinnovarsi per intercettare tutti coloro (soprattutto i giovani) che se ne stavano allontanando. E’ un’operazione critica sincera, non autoindulgente, mai però ingenerosa, che non dimentica il contributo che il sindacato italiano ha dato alla crescita civile e democratica del Paese.

L’idea di sindacato “nuovo” che traspare dal libro è quella di un soggetto che sa distinguere chi lavora bene da chi non lavora, da chi fa il furbetto e non si rende conto che “difendere i diritti senza sanzionare gli abusi dei diritti fa sì che alla fine gli abusi erodano i diritti”.

Una citazione di Gelmino Ottaviani, più di tante parole, restituisce al lettore l’idea che Bentivogli ha del sindacato: “Servono almeno un metro uguale per tutti, regole non scritte da non cambiare in corsa, cipolle per resistere e senso del limite. Senso del limite perché se no sei un poveretto anche se sei un miliardario”. Ecco il faro che guida il pensiero di questo sindacalista “atipico”, anche quando vengono affrontati temi di stretta attualità: è il caso del dibattito sulle nuove tecnologie che stanno ridefinendo il ruolo del lavoratore e l’organizzazione del lavoro ma anche sulla sostenibilità e la sobrietà.

Nel libro la riflessione prende le mosse da un’analisi sui cambiamenti della geografia del lavoro, in Europa e nel mondo, per poi approfondire il contesto – la quarta rivoluzione industriale – in cui si inserisce la nuova fabbrica, quella rimodellata sul paradigma di Industry 4.0.

Contrariamente a molti altri commentatori, Bentivogli mostra di possedere una visione progettuale di queste trasformazioni, dalle quali a suo avviso il sindacato non può rimanere tagliato fuori se vuole essere di aiuto, con una prospettiva costruttiva, per il lavoro e i lavoratori.

Da sindacalista, l’autore ripercorre la storia di alcune importanti vertenze industriali (tra cui Fca, Whirlpool-Indesit, Ilva, Ast, Alcoa): esperienze vissute in presa diretta, che gli offrono l’occasione di documentare il ruolo rilevante svolto dal sindacato sia sul piano della tenuta sociale, che nella difesa dell’occupazione.

Per Bentivogli, un sindacato moderno, che sta in mezzo alla gente, deve “decidere se vuole stare dentro o fuori dalla realtà, pena il rischio di lasciare qualcuno indietro”.

Non risparmia critiche a quella parte di capitalismo “salottiero” e “relazionale” che ha dilapidato tutto ciò che aveva costruito la generazione precedente. I cui rampolli fulmina con una battuta che, purtroppo, vale un aforisma:  “Padri pancia a terra in officina, figli pancia all’aria a Formentera”.

Bentivogli vede nel “quarto capitalismo”, quello delle aziende di medie dimensioni, un nucleo di imprenditori eccellenti da cui ripartire per dare una svolta positiva alle relazioni industriali, e fare la scelta dell’innovazione e della partecipazione nelle contrattazioni aziendali e nazionali.

Non manca nel libro una critica serrata alla proliferazione dei sindacati che, specie in alcuni settori, ha fatto da incubatrice al corporativismo.

Siccome ogni riforma – anche quella del sindacato – non può prescindere da un ritorno alle tradizioni, Bentivogli caldeggia l’idea di un sindacato che sappia porsi come riferimento anche attraverso lo studio e la ricerca sui temi del lavoro e dell’economia: l’organizzazione del lavoro, Industry 4.0, i Big Data, le nuove tecnologie. Solo così, pensa, è possibile coinvolgere migliaia di ragazze e ragazzi. Solo così è possibile sottrarsi ad una crisi della rappresentanza che dissemina la nostra società di macerie. Perché accanto alla strada giusta, ovviamente c’è anche la strada sbagliata. E’ quella che Bentivogli identifica col sindacalismo ideologico e parolaio, in prima fila ne talk show e in retrovia nelle fabbriche, relegato all’intrattenimento. Tutta la vicenda Fiat, costellata di polemiche roventi fin dall’inizio, dalla spaccatura sindacale all’accordo di Pomigliano nel 2010, segna uno spartiacque tra modi diversi di intendere e praticare la rappresentanza. Quello che piace a Bentivogli (ed alla sua Fim) si fonda sul dialogo ma anche sulla responsabilità; sa abbinare la proposta con le ragioni della protesta, qualora questa si renda necessaria. Che non idealizza l’unità ad ogni costo, perché “uniti si vince” solo se l’unità è impegnativa per tutti, se investe in sintesi comuni avanzate che guardino al domani.

La concretezza e la fiducia nel progresso insomma, come antidoto al veleno dei luoghi comuni, la realtà dell’impegno contro la retorica delle buone intenzioni: questa, secondo Bentivogli, deve essere la cifra di un sindacato che vuole lasciare traccia di sé in un mondo in continua trasformazione.  Un sindacato contro le riforme è contro natura.

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